Jenny Sangiuliano e Alessandro Giuli, ministri della Cultura, sono un minuscolo esempio di arroganza del potere, rispetto alla scelta da parte di Trump di nominare Pete Hegseth a ministro della Difesa degli Stati Uniti. “Ma chi c**** è questo tizio”, è la prima reazione dell’ambiente del Pentagono, come riporta Politico. La decisione del presidente eletto di nominare in un ruolo cruciale tale carneade, e quel che è peggio un giornalista, dà la misura di quel fattore a metà tra pericolosità e rischio insito nella futura amministrazione americana. E degli impliciti risvolti interni, esterni e globali che ne conseguono.
Voi non vi stupite che il futuro capo del Pentagono sarà l’attuale co-conduttore di “Fox & Friends Weekend” sul canale tv di Rupert Murdoch? A me sembra inaudito. Un giornalista – d’accordo, ha fatto il servizio militare – comanderà il potentissimo Dipartimento della Difesa Usa, bilancio da 895 miliardi di dollari (più o meno come l’intera spesa pubblica in Italia) e valenza geopolitica senza pari. Da quell’edificio a forma di poligono a cinque lati, quintessenza del moloch che Eisenhower definì “complesso militare industriale”, vengono comandati 1,3 milioni di soldati in servizio attivo nel mondo e altri 1,4 milioni della Guardia Nazionale. Senza contare le 750 basi militari americane in ottanta paesi (compresa l’Italia) e centinaia di missili balistici intercontinentali, caccia bombardieri, carri armati, mezzi corazzati, sottomarini e 5044 testate nucleari, di cui 40 nelle due basi aeree di Aviano e Ghedi, nella pianura Padana.
Se venisse confermato dall’apposita commissione del Senato (con Trump i repubblicani hanno fatto l’en plein per cui controllano Casa Bianca, Camera, Senato e la Corte Suprema) l’anchorman si troverà ad affrontare una serie scoraggiante di crisi globali e guerre, ad alta e bassa intensità. Faccia da attore di una mediocre serie tv (ma buca il video e sa parlare) a Hegseth spetteranno decisioni, si suppone nel rapporto burattino/burattinaio, su molti fronti caldi:
1) gli assetti nascenti in Medio Oriente, con la voglia della nuova amministrazione di schiacciare l’Iran dando totale appoggio a Netanyahu;
2) la guerra in Ucraina, dove il negoziato con Putin avverrà alle condizioni del Cremlino (con buona ‘pace’ degli alleati Nato in Europa, in rosso di decine di miliardi di euro per tenere in piedi Zelensky dopo l’invasione della Russia);
3) infine ovviamente, la Cina, avversario sistemico e strategico n.1 per l’amministrazione trumpiana, da battere o meglio ridimensionare, ma non tanto su Taiwan, la guerra sarà sulla supremazia economica globale, a colpi di dazi e tariffe (con rischio recessione globale).
“Con Pete al timone, i nemici dell’America sono avvisati: il nostro esercito sarà di nuovo grande e l’America non si tirerà mai indietro”, ha fatto sapere Trump in un comunicato. Quel che per ora sappiamo è che il futuro omologo americano di Guido Crosetto – che almeno nel suo CV aveva la responsabilità della lobby dei produttori di armamenti – dal Pentagono si appresta a garantire assoluta lealtà e fedeltà al settantottenne Commander in Chief. Per cominciare, ha già fatto sapere che non avrà problemi a licenziare il capo di Stato Maggiore congiunto, il generale Charles Brown (pilota di caccia, afroamericano) già pubblicamente rimproverato per essere nella lista di chi “non è riuscito a salvaguardare la forza dell’esercito, della Marina e dell’Aviazione”.
Ricordiamo tutti il caso del generale Milley, capo di Stato Maggiore congiunto per oltre due anni nella prima amministrazione Trump. Del suo ex boss disse: è un “dittatore” e un “fascista”. Così Trump ora si tutela con mosse preventive che, dopo l’incredulo choc iniziale, stanno mettendo nel panico il sistema della Difesa statunitense. Qualcosa di grosso certamente accadrà. Tra i nuovi oligarchi miliardari e ministri come Musk e i giornalisti che guidano il Pentagono, lo spericolato e pericoloso spettacolo è assicurato. Dopo aver stravinto le elezioni presidenziali per inconsistenza dell’avversario, cioè per assoluta incapacità dei democratici, cosa ci riserverà l’amministrazione Trump?