“Hanno voltato le spalle a Emanuela, hanno voltato le spalle alla nostra famiglia”, lo ha detto Pietro Orlandi durante un incontro alla facoltà di Giurisprudenza della Sapienza, ieri, promosso dal movimento studentesco Azione universitaria. “Mi chiedo perché il nome Emanuela Orlandi continua ad essere un tabù là dentro (in Vaticano, ndr), io ci vado spesso e quando li incontro li vedo che sono agitati, c’è la paura, si è creata una sorta di omertà negli anni neanche fosse mafioso il nome Orlandi, hanno fatto togliere la foto di Emanuela neanche fosse Totò Riina“.
L’episodio a cui fa riferimento il fratello della cittadina vaticana misteriosamente scomparsa il 22 giugno del 1983, è stato già raccontato e vede protagonista la moglie di Pietro, Patrizia Marinucci che lavora presso lo Ior, la Banca Vaticana. Quando la Marinucci posizionò una piccola foto in ricordo di Emanuela sulla scrivania del suo ufficio, le fu inspiegabilmente chiesto dai suoi superiori di toglierla. “Io non ce l’ho con la religione, la fede, io sto parlando del Vaticano, sono due cose diverse, parlo delle persone che hanno gestito questa vicenda, ci sono persone all’interno che indossano l’abito ma sono in realtà personaggi politici”, ha aggiunto il fratello di Emanuela Orlandi che da 41 anni si batte instancabilmente per ottenere verità e giustizia per la sua famiglia. Sull’oscura e complessa vicenda che ha risucchiato nel buio Emanuela Orlandi al momento indagano da più di un anno sia la Procura italiana che quella Vaticana. Sulla sua sparizione sta investigando anche una commissione bicamerale di inchiesta che sta cercando di far luce anche su un’altra ragazzina scomparsa nel centro di Roma nell’estate del 1983, Mirella Gregori, di cui non si hanno notizie dal 7 maggio di quello stesso anno.
“Vi è il massimo sforzo per cercare di capire cosa realmente accadde 41 anni fa – ha scritto in un messaggio letto ieri durante l’incontro, il presidente della commissione di inchiesta Andrea De Priamo -. Auspico da parte di tutti il dovuto rispetto verso coloro che sono impegnati nella difficile attività di indagine e ricerca sui due casi di scomparsa, proprio al fine di garantire loro il massimo grado di serenità nello svolgimento del lavoro in corso. Sarebbe inopportuno e controproducente, infatti, ingolfare l’attività degli inquirenti con continue ed inopportune sollecitazioni, soprattutto se sprovviste dei benché minimi requisiti di serietà e riscontrabilità. Troppi sono stati, nel tempo – continua -, i tentativi di inquinamento e deviazione delle indagini che hanno provocato danni irreversibili alla ricerca della verità. Non possiamo dimenticare che proprio il caso Orlandi ha patito, all’epoca come oggi, l’inserimento di personaggi di dubbia attendibilità, mitomani, false piste, propalatori di documenti apocrifi, mentitori seriali e così via. Ecco perché – ha concluso – auspico che anche in questa prestigiosa e autorevole sede come la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Sapienza di Roma, intesa come tempio del diritto, si possa discutere seriamente e responsabilmente sulla drammatica vicenda di Emanuela Orlandi, un caso unico al mondo per gravità e povertà di evidenze probatorie, senza ricorrere necessariamente a chimeriche soluzioni sensazionalistiche, sperando invece che il dibattito di oggi possa scorrere nel solco dei fatti concreti, dei riscontri e delle circostanze obiettive”.
“Dopo 40 anni – ha aggiunto Pietro Orlandi- continua ad esserci questa volontà anche da parte del Vaticano che è a conoscenza di molte cose, di ostacolare, di non fare chiarezza ma per quanto possa essere brutta la verità su Emanuela, la dovrebbero tirare fuori. Un passo così importante – ha concluso – sarebbe positivo invece fino all’ultimo hanno cercato di nasconderla e sicuramente sono stati aiutati, le istituzioni italiane in passato sono sempre state succubi del Vaticano. Sarebbe difficile raccontare le tante situazioni, i tanti ostacoli, le persone che cercano di screditare quello che stai facendo, ho avuto situazioni non bellissime con la procura: è gravissimo quando un magistrato chiude un’inchiesta per volontà e non perché non è stato in grado, ed è quello che ha fatto Giuseppe Pignatone“.
“Ma alla fine sono sicuro che arriveremo alla verità per Emanuela. Giovanni Paolo Il venne a casa nostra e ci disse che si trattava di terrorismo internazionale, ma il Vaticano ha usato questa storia perché così la vittima è diventato Giovanni Paolo II, il cattivo l’Unione sovietica“. L’episodio a cui si riferisce Pietro risale alla vigilia di Natale del 1983, quando il Papa polacco fece una visita a sorpresa alla famiglia Orlandi, composta dal padre Ercole, dalla madre Maria e dai quattro figli. Gli Orlandi vivevano all’interno dello Stato Vaticano poiché Ercole era un dipendente del Papa per cui lavorava come messo. È scomparso 20 anni fa, senza conoscere il destino di Emanuela ma sua moglie vive ancora in quello stesso appartamento tra le mura leonine che accoglie la stanza della “ragazza con la fascetta”, così come lei stessa la lasciò quel giorno d’estate di 41 anni fa.