Nonostante le ormai conclamate difficoltà commerciali che le automobili elettriche stanno incontrando a livello globale, ci sono costruttori che hanno deciso di puntare tutto sulle auto a batteria: è il caso della Jaguar, che l’11 novembre ha ufficialmente interrotto le vendite di nuove auto termiche/ibride nel Regno Unito. Una mossa strategica pensata per concentrare le forze sulla transizione ai veicoli elettrici: i primi di nuova generazione, però, non arriveranno prima dell’estate del 2026 e fino a quella data Jaguar sparirà dai radar del mercato inglese.

Secondo un portavoce dell’azienda, tutte le Jaguar ancora rimaste invendute, saranno classificate come vetture usate. Il costruttore inglese ha interrotto la produzione delle berline XE, XF e del coupé F-Type già all’inizio di quest’anno. Mentre quella dei Suv E-Pace e I-Pace, assemblati in Austria, cesserà a partire da dicembre, con la tiratura rimanente che sarà destinata ai mercati al di fuori del Regno Unito. Resterà attiva solo la linea di assemblaggio inglese delle F-Pace destinate all’esportazione, prima che il modello esca di scena nel primo trimestre del 2026. Ciò significa che i consumatori britannici rimarranno senza nuove Jaguar per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale.

Tuttavia, le ambizioni di elettrificazione di massa si stanno scontrando con la realtà di un mercato che rimane molto tiepido sui modelli ricaricabili. Il caso Ford fa scuola in questo senso: il costruttore americano ha investito poco meno di due miliardi di euro per convertire la sua fabbrica di Colonia alla realizzazione di vetture a batteria. Ma, vista la scarsa domanda per le auto elettriche, Ford ha chiesto alle istituzioni tedesche di poter accedere alla cassa integrazione per i circa 3 mila dipendenti dell’impianto in questione: quest’ultimo sarà operativo a turni e orari ridotti dalla prossima settimana e fino alle vacanze natalizie. Ma si vocifera pure di giorni di chiusura totale nei primi tre mesi del 2025.

L’impianto produce le Explorer e le Capri, entrambe a batteria, che però non stanno incontrando il favore del pubblico. “La domanda di veicoli elettrici è significativamente inferiore alle aspettative, soprattutto in Germania, e richiede un temporaneo adeguamento dei volumi di produzione a Colonia”, ha spiegato un portavoce dell’azienda, la cui divisione dedicata ai prodotti elettrici ha dichiarato perdite per 1,2 miliardi di dollari nella sua ultima trimestrale. Nel frattempo, poi, sempre a causa della scarsa domanda di mercato per veicoli a elettroni, Audi farà i conti con la chiusura definitiva della sua fabbrica di Bruxelles destinata alla produzione di Suv a batteria e sta attivando un programma di licenziamento che coinvolgerà circa 3 mila dipendenti.

Una situazione tragica, quindi, in cui l’Acea – la Confindustria dei costruttori europei di automobili – torna a denunciare “un peggioramento delle prospettive per il mercato dei veicoli elettrici a batteria, in un contesto economico mutevole”. Uno scenario in cui la penetrazione commerciale dei veicoli a elettroni andrà ridimensionata: più specificamente, secondo i dati elaborati da S&P Global, nel 2025 la quota di mercato delle vetture a batteria dovrebbe limitarsi ad appena il 21% del totale, contro il 27% precedentemente previsto.

In virtù delle norme europee in vigore, questo potrebbe spingere i costruttori a limitare la produzione e la vendita di veicoli termici e ibridi (con derivanti danni economici) per non sforare i limiti sulla media delle emissioni di anidride carbonica delle auto vendute. In questo senso potrebbe essere letta la decisione di Jaguar di cui sopra. O, in alternativa, fare “pooling” con i rivali cinesi e statunitensi che fanno auto elettriche, dirottando capitali fuori dall’Europa a spese degli investimenti nel continente: in pratica, chi produce sole auto elettriche – considerate a zero emissioni – può vendere i suoi “crediti verdi” a costruttori che hanno bisogno di un “aiutino” per rientrare nei limiti di emissioni medie di CO2 imposti dalle istituzioni. Roba già vista in America, dove tra il 2019 e il 2021 FCA pagò circa 2 miliardi di euro alla Tesla per diventare formalmente “compliant” alle norme americane. Al momento, queste sarebbero le uniche strategie possibili per evitare multe miliardarie.

Perciò l’Acea chiede nuovamente a Bruxelles di rivedere le norme ambientali in virtù della reale situazione di mercato, certamente influenzata pure dalle vicissitudini economiche e geopolitiche occorse negli ultimi anni. “La crisi incombente richiede un’azione immediata”, afferma il direttore generale dell’Acea, Sigrid de Vries: “Tutti gli indicatori delineano un mercato dei veicoli elettrici dell’Ue stagnante. A parte gli oneri di conformità sproporzionati per i produttori, è a rischio il successo dell’intera politica di decarbonizzazione del trasporto su strada. L’Europa deve rimanere sulla rotta della trasformazione verde adottando una strategia che sia in grado di funzionare”.

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