Recentemente alcuni casi di cronaca hanno riportato alla riflessione sul fenomeno del bullismo e del cyberbullismo. La piaga mi ha toccato personalmente, con la mia seconda figlia Diana. Oggi ventenne, fin dalla prima elementare si è trovata a subire atti di bullismo legati alla presenza in un’altra classe della sorella Diletta. Da lì un percorso fatto di episodi gravissimi, di noncuranza da parte delle insegnanti, di latitanza da parte della scuola e delle istituzioni e dell’indifferenza di tutto il personale che in tanti anni non ha mai preso una posizione chiara e favorevole. Il crollo di quelle certezze che ogni bambino dovrebbe avere nel riferimento alla persona adulta con la quale si confronta.

Il nostro caso è uno dei tantissimi che negli anni ho cercato di seguire portando la mia esperienza e l’aiuto nella associazione, cercando di costruire un dialogo diretto degli alunni con altri loro coetanei esterni, che potessero fare da ponte. Spesso sfugge che per un alunno – sia della scuola primaria o secondaria di primo e secondo grado – rivolgersi agli adulti è oltremodo complesso e che i linguaggi così distanti che i due mondi utilizzano sono un freno che addirittura può amplificare l’azione del bullo all’interno della singola realtà.

È fondamentale costruire intorno agli alunni una realtà fatta di coetanei, positiva e solida. Le amicizie sane quelle che possono intervenire al momento del bisogno rivolgendosi, esse sì, alle figure adulte di riferimento. Spesso l’attenzione è focalizzata sulle fragilità ma negli ultimi anni ci rendiamo sempre più conto che vittime di bullismo sono quei bambini o giovani maggiormente composti, educati, rispettosi delle regole. Come se costruire una personalità rigorosa fosse la grande colpa. Basta davvero poco per ritrovarsi al centro dell’inferno, basta vedere la storia di cui tanto si parla ultimamente legata al ragazzo suicida per essere stato identificato come omosessuale a causa di una banale scelta di indossare un paio di pantaloni stinti. Una scusa, una banale scusa che diventa una motivazione valida a provare a dare delle spiegazioni che non esistono.

Dovremmo chiarire bene ai nostri figli che il bullismo non ha mai una ragione per esistere come nessun’altra forma di violenza. Siamo tutti responsabili lì dove non riusciamo a intervenire per tempo. Lo stesso bullo è vittima di un sistema che lo convince che solamente agendo in un modo violento e sbagliato possa avere attenzione. Il bullo è un giovane che non sopporta di essere la sola vittima ed è per questo che ne produce altre.

La disabilità è spesso oggetto di bullismo declinato a seconda del grado della disabilità. Infatti, e mi rendo conto che scrivo affermazioni forti ma se la disabilità gravissima richiedendo la presenza indispensabile di personale di riferimento, limita gli atti di bullismo che comunque tendono ad esprimersi come indifferenza, nelle disabilità più lievi il fenomeno ha una crescita esponenziale. Lì dove un giovane alunno con fragilità vive una sua propria autonomia, il bullo con i suoi seguaci germogliano con estrema velocità e potenza. Ed è lì che sfugge il controllo alla rete scolastica, familiare e sociale.

Purtroppo non basta l’intervento tempestivo delle figure adulte per sanare un vuoto educativo e formativo che trae origini sicuramente più lontane. È importante che i ragazzi vittime di bullismo e che vivono una condizione di disagio scolastico, che sia informatica o reale, possano contare sull’aiuto immediato di coetanei anche esterni a quella realtà ma che possano fornire strumenti di “primo soccorso”. Per questo Fondazione Villa Point Tous, la realtà che presiedo dal 2009, ogni anno investe tempo risorse per creare una nuova opportunità per gli alunni che vivono il dramma del bullismo. Un occhio di riguardo e di vicinanza ai giovani fratelli e sorelle di ragazzi con disabilità. Questi ultimi, cosiddetti “sibling”, vivono una condizione di responsabilità e di crescita assolutamente pregnante rispetto alla maggioranza.

Questa loro condizione li mette spesso in una condizione di isolamento, o anche di scherno in quanto risultano non solo di “diversi“ ma anche assimilati ai loro fratelli e sorelle con disabilità che cercano di proteggere facendo scudo alla propria famiglia per proteggerla. Si parla di inclusione scolastica, di occasione di crescita della comunità formativa, eppure è all’ordine del giorno un numero crescente di giovani studenti che vivono la scuola come il loro peggiore incubo. Intorno il vuoto.

Tutto il mondo adulto ha la responsabilità di cercare il dialogo senza sosta ed indurre i giovani a poter effettivamente esprimere le proprie sensazioni senza il peso del giudizio. La comunità scolastica dovrebbe a mio avviso intensificare e favorire tutto ciò che possa aiutare gli studenti a conoscersi oltre le etichette e il pregiudizio. Stimolare l’empatia, mischiare le carte e cercare dei punti di contatto alla base del sistema scolastico. La sezione giovani della nostra fondazione offre una serie di strumenti fruibili a bambini e studenti di ogni ordine grado: i nostri volontari sono a disposizione delle scuole che vorrei che volessero organizzare incontri con la nostra Diana Gini, attivista referente per il bullismo. Unendo le risorse e le energie, sicuramente la cultura sociale può cambiare e il bullismo con tutto ciò che comporta potrà essere sicuramente un fenomeno gestito e in larga parte risolto.

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