Mafie

Lillo Zucchetto: da quel maledetto 14 novembre, non perdo occasione per ricordarlo

La domenica sera del 14 novembre di 42 anni fa, un giovane di 27 anni, sta uscendo da un bar palermitano: in una mano tiene un panino e nell’altra le chiavi della sua Renault. Aveva trascorso il pomeriggio allo stadio per seguire una partita di calcio. Quel giovane, non era mafioso e nemmeno un “malacarne”, era soltanto un patriota siciliano che amava la vita. Stava programmando il futuro insieme alla sua ragazza, prossimi al matrimonio. La loro alcova era quasi pronta.

Fatti pochi passi dal bar, 5 colpi di pistola lo colpiscono a tradimento in testa. I killer lo conoscevano bene e sapevano che affrontarlo a viso aperto, sarebbe stato per loro un serio pericolo e fu per quel motivo che i vigliacchi lo colpirono da tergo. Conclusa la missione di morte, Cosa nostra sparse la voce che il movente dell’omicidio era riconducibile a “questioni di fimmini”. Era il leitmotiv che Cosa nostra usava col duplice scopo di allontanare su di sé i sospetti e contestualmente denigrare la vittima.

Ma tanti amici del giovane non credettero affatto alla “voce” messa in giro dalla mafia. Anzi, loro ben conoscevano i motivi che avevano dato luogo all’omicidio: erano a conoscenza con dovizia di particolari, che l’omicidio non era motivato da “questione di fimmini”, ma per punire quel giovane, che aveva osato profanare il regno di Ciaculli, ove il “Papa”, al secolo Michele Greco, regnava incontrastato. Nonostante la calunnia, due amici del giovane ucciso, volarono in quel di Roma, e attraverso una dettagliata testimonianza resa da una persona in procinto di lasciare l’Italia, esclusero che quanto veicolato dalla mafia era una falsità. Ad uccidere il giovane erano stati killer di Cosa nostra. Uno dei due amici si chiamava Ninni Cassarà, l’altro ero io.

Il giovane siciliano si chiamava Lillo Zucchetto, ed era un agente di polizia in servizio alla Squadra mobile di Palermo, nella quinta investigativa diretta da Ninni Cassarà. Anche Cassarà, il 6 agosto 1985, verrà ucciso insieme all’agente Roberto Antiochia.

Da quel maledetto 14 novembre, non perdo occasione di ricordare Lillo Zucchetto. E voglio ricordare l’evento del 4 maggio del 2013. Io e il mio amico Davide Tassan, facemmo intitolare a Calogero “Lillo” Zucchetto l’auditorium dell’Istituto Tecnico “Odorico Mattiussi” di Pordenone. Di Lillo ho raccontato numerosi episodi vissuti insieme, ma oggi ne vorrei ricordare uno in particolare.

Un pomeriggio del mese di ottobre 1982, mentre eravamo appostati sul costone della montagna che sovrasta l’agro di Ciaculli intenti ad osservare con potenti binocoli, la villa del latitante mafioso Salvatore Montalto (Montalto era uno degli amici più fidati di Salvatore Riina, che poi arrestammo il 7 novembre 82), udimmo prima degli urli e poi colpi d’arma da fuoco, provenienti dalla strada sottostante che da Ciaculli conduce a Gibilrossa. Dalla nostra postazione potemmo vedere nitidamente, che un uomo a bordo di una motoape era stato appena assassinato da due killer. Noi non avevamo la radio di servizio e quindi non potemmo segnalare l’accaduto e anche avendola non avremmo potuto farlo. Ci rammaricammo per aver visto in diretta un omicidio e di non essere stati in grado di intervenire.

Caro Lillo, sei sempre nel mio cuore, così come i miei migliori amici coi quali condivisi la mia attività investigativa a Palermo: Nini Cassarà, Beppe Montana, Roberto Antiochia, Natale Mondo e Filadelfio Aparo, tutti della Squadra mobile di Palermo. Insieme a loro e a te Lillo, sognai una Sicilia senza condizionamenti mafiosi. Mi spiace, non ci riuscii: chiedo scusa!