Una legge di bilancio che in materia di politiche abitative è solo apparentemente una pagina bianca. Il governo propone modifiche e auto deleghe, fino a togliere ai Comuni oltre 50 milioni dal 2029 al 2033 destinati al Piano innovativo per la qualità dell’abitare (Pinqua).
Andiamo con ordine.
Il fulcro della manovra in materia di politiche abitative è l’articolo 71, che reca due proposte in due commi diversi apparentemente innocui. Il primo comma interviene sull’articolo 1 della legge 30 dicembre 2023, la precedente legge di bilancio, e in particolare sui commi 282 e 283, in tutti e due i commi, che si riferiscono alla sperimentazione di modelli innovativi di edilizia residenziale pubblica, il governo aggiunge le parole “e di edilizia sociale”.
Non sono parole aggiunte a caso. In Italia 1.031.000 famiglie sono in povertà assoluta e in affitto, sono tra le 300.000 e le 600.000 le famiglie nelle graduatorie, continua anche se un po’ ridotto lo stillicidio degli sfratti per morosità – che rappresentano l’80% delle motivazioni di sfratto – ma il governo non tiene assolutamente in conto questo fabbisogno abitativo, ovvero una domanda povera che investe milioni di persone, e in ottemperanza ad un accordo con Confindustria e privati, propone un piano casa destinato a lavoratori, studenti e anziani di social housing, appunto edilizia sociale.
Sia chiaro, ovvio, c’è necessità di fornire una risposta abitativa fondata anche su affitti calmierati, ma questa deve essere nell’ambito di politiche abitative strutturali pubbliche, integrative non sostitutive della necessità di rispondere prioritariamente ad una domanda povera.
Assistiamo quindi, da una parte, a Comuni come Milano e Regioni come la Lombardia, dove porzioni delle attuali case popolari che dovrebbero andare a famiglie in graduatoria, tolte da questo ambito e indirizzate verso la locazione a categorie di lavoratori, di certo più solvibili dei poveri a canone sociale. Dall’altra il governo dimentica completamente di tenere in considerazione una domanda povera e dirige le sue politiche di fatto essenzialmente verso l’abbraccio con i privati. Una sinergia tra politiche comunali, regionali e governative anche di diverso orientamento politico che lascia assai perplessi.
La seconda proposta del governo sempre all’articolo 71 è recata dal comma 2.
Questi, di fatto, rappresenta una delega in bianco in quanto prevede che “al fine di contrastare il disagio abitativo”, attenzione alle parole, il disagio abitativo per il governo è rappresentato da lavoratori, studenti e anziani, che hanno bisogno di alloggi, ovviamente di privati, a canone agevolato, “anche mediante valorizzazione del patrimonio immobiliare esistente”.
Anche qui, attenzione, non si parla di recupero di immobili da parte del pubblico, ma di valorizzazione del patrimonio immobiliare, privato, ora inutilizzato che potrà essere valorizzato, ovvero riportato a reddito, anche se a canone agevolato. Questo avverrà con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del ministro delle Infrastrutture, appunto Salvini. Questo Dpcm dovrà, entro sei mesi, approvare il Piano nazionale di edilizia residenziale pubblica e sociale, appunto, quello denominato Piano Casa Italia.
Non si parla di finanziamenti, non si parla di passaggi parlamentari, non si parla di coinvolgimento di sindacati inquilini, movimenti e associazioni di abitanti, si farà tutto in camera caritatis. Perché? Secondo il governo, e lo dice alla fine del comma 2 dell’articolo 71, si dovrà rispondere ai nuovi “fabbisogni abitativi emergenti”. Insomma un bel Piano Casa Italia votato alla valorizzazione degli immobili, ma che non si rivolge all’insieme del fabbisogno ed in particolare alla precarietà abitativa, ma solo a quello dal quale si può ricavare reddito, da parte dei privati. In questo modo si appaltano le politiche abitative pubbliche ai privati e ai loro desiderata.
Infine la ciliegina sulla torta. Da una parte il governo non prevede per i prossimi tre o cinque anni alcun rifinanziamento dei fondi contributo affitto e morosità incolpevole che si sommano all’azzeramento degli anni 2023 e 2024.
Dall’altra al comma 17 dell’articolo 104, a dire il vero un po’ nascosto, si dispone che il Fondo denominato “Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare”, sia ridotto di 53.036.470 euro nel 2029, di 54.596.367 euro nel 2030, di 54.635.365 euro per gli anni 2031 e 2032 e di 51.281.588 euro nel 2033. Il governo quindi non trova di meglio, e senza un motivo plausibile, che tagliare, questo sì un intervento pubblico, addirittura tra il 2029 e il 2033, oltre 300 milioni di euro ai Comuni per l’attuazione del Piano innovativo per la qualità dell’abitare.
Al di là del fatto che, questo Piano, non sia stato attuato pienamente per le sue finalità, anche dovuto al tempo ridotto dato ai comuni per presentare i progetti, questo significa tagliare risorse per interventi strutturali da parte dei comuni che affrontavano problematiche abitative con queste risorse. Eppure solo poche ore fa la Caritas nel suo rapporto dedicava ampia parte alla questione dell’abitare e dei poveri coinvolti.