Botte, spinte, prese sul collo, morsi, oltre a offese e minacce. Una 40enne di Ancona ha patteggiato una pena a un anno e 8 mesi di carcere per le violenze nei confronti del figlio: nel processo doveva rispondere di maltrattamenti e lesioni personali. Secondo l’inchiesta della squadra mobile, partita dal racconto del ragazzino, la situazione sarebbe andata avanti per 6 anni. Le violenze sono state fisiche e psicologiche, secondo la ricostruzione della polizia che la donna ha sempre respinto. La storia è raccontata dal Corriere Adriatico.

Per due volte il bambino era finito in ospedale con lividi e lacerazioni. Al primo episodio la madre aveva giustificato le ferite ai dottori dicendo che il minore era caduto dal monopattino. In realtà la madre aveva spinto il bimbo nella vasca del bagno facendolo cadere addosso al rubinetto, procurandogli un trauma cranico e otto giorni di prognosi. La seconda volta era finito in ospedale per una stretta al collo durante un litigio culminata con dei morsi, stavolta al bambino erano stati dati dieci giorni di prognosi.

Il bambino dopo 6 anni di vessazione aveva deciso di denunciare dopo l’ennesimo litigio. Il minore aveva chiamato la polizia e aveva confidato agli agenti le aggressioni subite in quei giorni ma anche quelle degli ultimi anni. Dichiarazioni che hanno fatto scattare la segnalazione in Procura e l’apertura di un fascicolo di indagine.

La difesa sostiene che il racconto del minore sia frutto di pura fantasia. L’accusa, invece, dipinge un quadro molto diverso: secondo la procura, la donna avrebbe influito in modo violento sulla crescita del figlio, rivolgendosi a lui con appellativi come “Satana” e ripetendogli frasi come “Hai il demonio dentro, non ti voglio”. Inoltre, l’accusa riporta che la donna sarebbe arrivata persino a minacciarlo di morte qualora avesse parlato.

La donna ha sempre respinto ogni contestazione, parlando di una situazione complessa e conflittuale aggravata dalla separazione dei genitori del bambino. La scelta del rito alternativo è stata motivata dal fatto di non esporre il ragazzino ad ulteriore stress.

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