Trentadue anni dopo la strage di via d’Amelio, ci sarà un altro processo per il depistaggio delle indagini sulla morte del giudice Paolo Borsellino. E alla sbarra ci saranno, ancora una volta, esponenti delle forze dell’ordine: sono accusati di aver mentito davanti a un giudice, intralciando in questo modo l’accertamento della verità. Con questa contestazione […]
Trentadue anni dopo la strage di via d’Amelio, ci sarà un altro processo per il depistaggio delle indagini sulla morte del giudice Paolo Borsellino. E alla sbarra ci saranno, ancora una volta, esponenti delle forze dell’ordine: sono accusati di aver mentito davanti a un giudice, intralciando in questo modo l’accertamento della verità. Con questa contestazione il gup di Caltanissetta, David Salvucci, ha rinviato a giudizio i poliziotti Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli: devono rispondere del reato di depistaggio. Accolta, dunque, la richiesta di rinvio a giudizio del pm Maurizio Bonaccorso.
Il sesto processo – Quello che comincerà il 17 dicembre con l’udienza preliminare sarà il sesto processo celebrato sull’eccidio in cui morirono Borsellino e gli agenti di scorta Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi e Claudio Traina. I primi quattro procedimenti hanno riguardato i colpevoli della strage del 19 luglio 1992: l’ultimo – battezzato Borsellino quater – ha fatto luce sulle reali responsabilità, dopo la collaborazione di Gaspare Spatuzza, che ha svelato il depistaggio portato avanti con le dichirazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino. Un balordo di un quartiere periferico di Palermo è stato fatto passare come l’abile organizzatore della strage: a causa di questo bugie alcune persone completamente innocenti hanno trascorso quasi vent’anni al carcere duro.
Il primo processo per depistaggio – In relazione a quanto emerso al Borsellino Quater, dunque, la procura di Caltanissetta ha portato a giudizio i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo accusandoli di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra. I tre erano componenti della squadra investivativa creata per indagare sulle stragi di Capaci e via d’Amelio: era il “Gruppo Falcone-Borsellino” e a guidarlo era Arnaldo La Barbera. Secondo la procura di Caltanissetta è il superpoliziotto (deceduto nel 2002) il regista del depistaggio: Bo, Mattei e Ribaudo lavoravano ai suoi ordini e in questa veste – per i pm – avevano contribuito a indottrinare il falso pentito Scarantino. Il processo è già arrivato al secondo grado: dopo aver decretato la caduta dell’aggravante mafiosa, la corte d’Appello di Caltanissetta ha emesso sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.
Il pm: “Assoluta malafede” – È durante quel processo che Di Gangi, Maniscaldi, Tedesco a Zerilli – anche loro componenti del gruppo Falcone-Borsellino – hanno deposto come testimoni: per i pm però hanno mentito su alcuni punti e sono stati reticenti su altri. Il pm Bonaccorso ha parlato di “assoluta malafede“, contestando ai quattro anche “troppi non ricordo” nel corso delle loro deposizioni. Il rinvio a giudizio per gli imputati è “per tutte le imputazioni loro ascritte”, ha detto il gup Salvucci leggendo il dispositivo. Nell’ultima udienza i difensori dei quattro poliziotti ne hanno chiesto il proscioglimento perché “non hanno mai depistato”, dato che “non hanno mai mentito al processo”. Gli avvocati hanno definito i loro clienti come “servitori dello Stato”, sottolineando che i poliziotti del gruppo investigativo Falcone e Borsellino (quello guidato da La Barbera) erano “l’ultimo chiodo della ruota di un carro che muove qualcun altro…”. In subordine al proscioglimento era stata chiesta la “riqualificazione della condotta, in falsa testimonianza“.
Le parti civili – “L’udienza preliminare, nonostante le modifiche della Cartabia, non ha determinato alcun reale esame del merito delle singole accuse e delle singole responsabilità. Dopo 10 anni di sottoposizione ad indagini a vario titolo, il mio assistito affronterà anche il calvario del processo, vera pena per tutti i cittadini esenti da responsabilità”, ha invece commentato l’avvocato Giuseppe Seminara, legale del poliziotto Di Gangi. Al processo i figli di Borsellino – Lucia, Fiammetta e Manfredi – si sono costituiti parte civile. “Preferisco non dire nulla…”, ha detto Fabio Trizzino, che insieme all’avvocato Vincenzo Greco rappresenta i figli del giudice ucciso in via d’Amelio.