Ieri, a Piadena, è venuto a mancare Giuseppe Morandi. Aveva 87 anni e, sviluppando una proposta di Gianni Bosio, è stato tra i fondatori, con Gianfranco Azzali, il “Micio” , della Lega di Cultura di Piadena che da oltre 50 anni si è impegnata affinché la voce dei lavoratori della bassa cremonese, la voce degli ultimi e di quelli “senza voce” potesse essere udita.

Morandi era fotografo, scrittore e regista, ha collaborato con Bernardo Bertolucci che nella campagne cremonesi ha girato Novecento. Morandi, a quei lavoratori e a quelle lavoratrici oltre alla parola ha dato un volto, con le fotografie, i cortometraggi, i documentari. Prima i Paisan, il primo di numerosi libri di fotografia e poi i migranti che oggi lavorano nelle campagne cremonesi.

In questo mondo grande e terribile, sconvolto da guerre e minacciato da grandi problemi, qualcuno può chiedersi perché parlare della morte di Giuseppe. Ne parlo perché la vita di Morandi è stata una grande storia collettiva, non è un fatto privato ma un fatto pubblico, una testimonianza importante di un grande movimento che ha contribuito non poco a cambiare il mondo. In meglio.

Innanzitutto l’esperienza di Morandi e della Lega di Cultura di Piadena non è rimasta un fatto isolato ma con l’istituto Ernesto De Martino, il Circolo Gianni Bosio, Società di Mutuo Soccorso Ernesto De Martino, ha sviluppato il grande lavoro sulla storia orale, sulla valorizzazione della cultura popolare, sul suo riconoscimento e sulla sua importanza. L’idea che il sapere popolare, la vita delle persone in carne ed ossa potessero avere una importanza ed essere il punto su cui poggiare una strategia di trasformazione sociale, è stato uno dei migliori prodotti elaborati in Italia nel secondo dopoguerra e che il lavoro di compagni come Morandi ha diffuso in ogni dove.

Compagno Morandi, perché Giuseppe, grande amico di Ivan della Mea, era un compagno, formatosi nella sinistra socialista, che ha lottato tutta la vita per la giustizia sociale e la libertà. Ancora vent’anni fa candidato a sindaco a Piadena per una lista civica di sinistra, al di fuori degli schemi del bipolarismo imperante, che mi onoro di essere andato a sostenere con una iniziativa politica al bar del paese. Per Morandi, come Gianni Bosio, la trasformazione socialista non è un processo dall’alto ma richiede una trasformazione dei rapporti sociali dal basso. Un processo fondato sulla valorizzazione delle soggettività di coloro che appartengono alle classi sfruttate.

Penso che questa impostazione sia profondamente vera e rappresenta l’alternativa concreta al politicismo imperante oggi anche a sinistra. Il contrario del politicismo perché Morandi era consapevole che la critica dell’economia politica si doveva accompagnare alla critica della politica come strumento di dominio, per costruire una politica come percorso di liberazione.

Questa impostazione politica, che parte dalla messa al centro della soggettività contadina, ha fatto si che Morandi si sia occupato per tutta la vita di “comunità”, della sua comunità di Piadena. Una comunità fotografata nella quotidianità del lavoro come nella capacità di ribellarsi ai rapporti di potere. L’attenzione alla comunità non distoglie mai lo sguardo dalla contestazione dei rapporti di potere che in quella comunità vi sono e soprattutto di come quella comunità si modifica, con la presenza dei migranti assunti come parte costitutiva della nuova comunità territoriale e non come ospiti indesiderati.

Da ultimo voglio sottolineare l’importanza dell’esperienza di Morandi nel suo lavoro di organizzazione di cultura, per favorire il passaggio della memoria tra generazioni. Morandi ha lavorato tutta la vita per evitare lo spezzarsi dei fili della memoria di classe, convinto come era che le classi subalterne dovessero conservare il ricordo dei propri percorsi, della propria organizzazione, della propria capacità di contestare il potere e le classi dominanti.

Non voglio proseguire oltre. Spero di aver sottolineato, in queste poche righe, perché la morte – e la vita – di un compagno come Giuseppe non siano solo un fatto privato e doloroso per i suoi amici. La morte di Giuseppe costituisce una occasione per riflettere, oggi, in una situazione in cui paiono aver voce solo i potenti e solo i cannoni, di come la trasformazione sociale non possa che avvenire a partire dal protagonismo degli uomini e delle donne che soffrono e che ribellandosi possono cambiare il mondo.

Qualcuno pensa che questa sia utopia ma questa utopia, che ha guidato la vita di Giuseppe e lo ha formato come persona, è il vero motore della storia ieri come oggi. Non so se Morandi conoscesse “People have the power” di Patty Smith, ma certo è una bella colonna sonora per la sua bella vita. Ciao Giuseppe, la terra ti sia lieve. I suoi amici e amiche, compagni e compagne lo ricorderanno domenica mattina a Piadena.

Tra i libri pubblicati da Giuseppe Morandi: I paisan (1979), I volti della bassa padana (1984), La mia Africa (2001). Tra i cortometraggi, Morire d’estate (1956), I paisan (1966), presentati nel 2003 al Festival cinematografico di Locarno, diretto da Marco Muller.

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