Media & Regime

Lasciare X per colpa di Musk? Un contropotere social va pensato

Si leggono molte reazioni a proposito della cancellazione del profilo su X (l’ex Twitter) che molti in queste ore stanno scegliendo come protesta contro Elon Musk. Reazioni per lo più sarcastiche, che però a mio avviso giocano con gli stessi sentimenti che i social (non solo X, ovviamente) tendono ad amplificare. Indignazione, risentimento, sarcasmo per l’appunto, che funzionano però solo se sono immersi in una sorta di reagente chimico capace di semplificare ogni ragionamento.

La critica alla scelta di cancellarsi da X funziona solo se si dà per scontata una cosa che non lo è affatto, ovvero che chi lo fa pensi di star salvando il mondo o anche solo impensierendo Musk. Io non credo ci sia nessuno sano di mente che stia pensando che, cancellandosi individualmente da X, metterà in crisi il suo potere. Però ci sono gesti che, per quanto piccoli, possono avere un valore sociale, anche solo di testimonianza. Cancellarsi da X non è un gesto rivoluzionario, non cambia le sorti del mondo, non fa colare a picco l’impero economico-finanziario di Musk. Ma fosse anche solo un piccolissimo granello, conta per chi fa il gesto e forse conta anche per qualcun altro.

Poi c’è un altro modo di funzionamento dei social: la caccia alla coerenza dei comportamenti. Non si tratta di un tema nuovo: da sempre, gli intellettuali, le persone pubbliche sono sottoposti alla (pure legittima) lente di controllo della coerenza delle loro condotte, a partire dalla tesi secondo cui è incoerente criticare il mondo abitando nel mondo, e che nessuno si può sottrarre all’essere immerso in quel contesto che pretende di criticare.

Ne hanno fatto le spese i filosofi accusati di aver cercato di criticare il mondo pensando di star seduti nel loro (comodo) Hotel Abisso. Nessuno, è vero, ha lo sguardo di dio. Nessuno guarda la realtà dal di fuori. Quello schema critico produce tuttavia la considerazione ‘coerentista’ secondo cui la cancellazione da X ci lascerebbe comunque immersi in altri social media che non sono certo filantropici, democratici, aperti, etc. Insomma, perché Musk dovrebbe essere peggio di Zuckerberg?

Naturalmente qui la risposta è che siamo tutti immersi pienamente dentro le contraddizioni del nostro tempo: cancellarsi da X e rimanere su Facebook non ci renderà i cavalieri senza peccato? Pazienza, però sì, possiamo sfruttare alcuni spazi pur senza condividere alcunché dei padroni di quegli spazi. E allo stesso modo possiamo scegliere di prediligere uno spazio rispetto a un altro, pur non apprezzando ciò che i padroni dell’uno e dell’altro fatto o dicono. Alimentiamo così il loro patrimonio? Sì. Non siamo liberi di dire qui tutto quello che vorremmo? Certo. Però l’alternativa è non dire proprio niente.

Gli unici che l’hanno capito sono paradossalmente i boomer (categoria cui non appartengo, dunque non lo dico per difesa generazionale). Ma perché? Perché le nuove generazioni, anche grazie ai social, si sono formate, come si diceva, alla scuola del cinismo e dell’indifferenza.

Cancellarsi da X è solamente un gesto di Slack Activism oppure no? Forse poteva esserlo una volta, quando all’attivismo vero e proprio, fisico, si contrapponeva una sorta di attivismo pigro per l’appunto legato a gesti che erano meramente conseguenti allo schiacciare un bottoncino (che è sempre stato comunque un tema di grande rilevanza morale: si pensi al dilemma dell’uccisione del mandarino cinese). Però adesso le cose non sono più così, e distinguere l’attivismo social dall’attivismo ‘fisico’ ha senso ma a patto che non si costruisca una gerarchia così rigida tra i due: non c’è bisogno di scegliere, liquidando l’uno in nome della maggiore efficacia dell’altro. C’è bisogno ormai di entrambi.

Perché se il potere si esprime sui social (e del resto le dichiarazioni di Musk vengono rese proprio su X, e fatto discutere mezzo mondo e tremare i governi del mondo, producendo perfino reazioni istituzionali ad altissimi livelli) è necessario pensare a forme di contropotere social.

Oggi più che mai i social sono spazi politici a tutti gli effetti. La domanda non è quanto efficace sia andarsene, ma semmai se conti più, come per tutti gli spazi politici, occuparli e abitarli criticamente, oppure scegliere l’Aventino. E se, come tutti gli spazi politici, anche i social vadano ‘costituzionalizzati’ e resi spazi autenticamente aperti alla discussione democratica e ai diritti costituzionalmente garantiti, e non solo spazi privati detenuti da tycoon.