L’avvocato Giorgio De Stefano è stato condannato a 10 anni di carcere perché è un partecipe dell’associazione mafiosa e non un capo promotore così come sospettato dalla Dda di Reggio Calabria nel maxi-processo “Gotha”, nato da un’inchiesta condotta dal procuratore Giuseppe Lombardo che aveva delegato i carabinieri del Ros a indagare non solo sulle cosche reggine ma anche su quella che è stata definita dai pm la “struttura riservata della ‘ndrangheta”. È questo il dato più rilevante della sentenza emessa dalla Corte d’appello dopo il rinvio disposto dalla Cassazione nel 2022 quando è stata annullata la condanna a 15 anni e 4 mesi inflitta a Giorgio De Stefano nel primo processo d’appello celebrato con il rito abbreviato.

Tornato a Reggio Calabria, il procedimento penale si è concluso, quindi, con quattro condanne rideterminate, tre assoluzioni piene e una prescrizione. La lettura del dispositivo è arrivata ieri sera tardi. Al termine della camera di consiglio, il presidente Alfredo Sicuro e i giudici a latere Giuseppe Perri e Cristina Foti hanno accolto parzialmente le considerazioni fatte dalla Suprema Corte in merito a Giorgio De Stefano. Quest’ultimo era ritenuto una delle due teste pensanti della ‘ndrangheta reggina assieme all’avvocato Paolo Romeo, condannato in primo grado a 25 anni di carcere e in attesa del processo d’Appello.

Stando all’impianto accusatorio del procuratore Lombardo e degli altri pm della Dda, entrambi erano il “motore immobile del sistema criminale” e venivano descritti come “soggetti ‘cerniera’ in grado di interagire tra l’ambito ‘visibile’ e quello ‘occulto’ dell’organizzazione”. Quell’accusa ha retto nel processo di primo grado celebrato con il rito ordinario e, per buona parte, anche nel processo in abbreviato, quello dove è imputato appunto Giorgio De Stefano che era già stato condannato per concorso esterno nel processo “Olimpia”. In attesa delle motivazioni, che saranno depositate tra 90 giorni, quello che emerge dalla nuova sentenza è che i giudici di secondo grado lo hanno condannato per associazione mafiosa riconoscendolo partecipe del sodalizio criminale e non promotore.

In sostanza i nuovi giudici hanno tenuto in considerazione la tesi della Suprema Corte che aveva annullato la prima sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria (quella in cui era stato condannato a 15 anni e 4 mesi di carcere) perché appariva “illogico sostenere che Giorgio De Stefano potesse contemporaneamente far parte sia della struttura invisibile” della ‘ndrangheta, “sia della struttura visibile ed operativa in qualità, peraltro, di capo della cosca De Stefano”. Il maxi-procedimento “Gotha” era nato dalla riunione delle inchieste “Mamma Santissima”, “Reghion”, “Fata Morgana” e “Sistema Criminale” nell’ambito delle quali i carabinieri del Ros, la guardia di Finanza e la polizia avevano acceso un faro su quello che i pm considerano il “direttorio” della ‘ndrangheta, una struttura con una strategia programmatica che puntava ad alterare “l’equilibrio degli organi costituzionali”.

Ritornando al processo chiuso ieri, oltre a Giorgio De Stefano, sono stati condannati Roberto Franco (12 anni di carcere), Domenico Marcianò (8 anni) e Antonino Nicolò (3 anni). Per loro solo una rideterminazione della pena rispetto al primo processo. L’imputata Lorena Franco è stata assolta così come l’imprenditore Emilio Angelo Frascati, accusato di associazione mafiosa, e l’ex sindaco di Villa San Giovanni Antonio Messina che rispondeva di corruzione. Tutti e tre erano stati condannati nel primo processo. È stata dichiarata, infine, la prescrizione per l’imputato Giovanni Pellicano accusato di minaccia grave senza l’aggravante mafiosa. Quando saranno depositate le motivazioni la sentenza, la Procura deciderà se ricorrere di nuovo in Cassazione.

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