Cinema

Sulla luna con Stanley Kubrick – Miti, leggende e verità sul mostro sacro del cinema. Nel libro Filippo Ulivieri il mito del regista diventa realtà sfaccettata

Il mito semplifica mentre la realtà è sfaccettata. Volete sapere definitivamente quanti ciak ha fatto Shelley Duvall in Shining? Se c’era davvero un finale alternativo in Orizzonte di gloria dove i fanti francesi si salvano? Se la versione di Eyes Wide Shut che abbiamo visto in sala era quella voluta dal suo regista? A queste, e ad almeno un’altra sessantina di insistenti celebri interrogativi sulla stella più geniale e luminosa del firmamento cinematografico del Novecento, prova a dare una risposta credibile ed oggettiva il libro Sulla luna con Stanley Kubrick – Miti, leggende e verità sul mostro sacro del cinema (StreetLib).

Un immenso, puntuale e devoto lavoro di ricerca sul regista newyorchese approntato da Filippo Ulivieri, quel signore che diede alle stampe nel 2016 Stanley Kubrick e io (Saggiatore), memorabile perla storico biografica con protagonista esclusivo Emilio D’Alessandro, colui che finite le riprese di Arancia Meccanica divenne l’autista di Kubrick fino alla sua morte. Insomma dalle parti di Ulivieri si sta metodologicamente in una botte di ferro. Lui stesso spiega nell’introduzione al volume il senso di questa opera mirabilmente riparatrice, un mai più senza per appassionati e addetti ai lavori. “Alla sicurezza dei Kubrickiani – dogmatici, granitici, anzi, che dico: monolitici – contrapponiamo la curiosità dei Kubrickisti, una brigata di cultori, vigili e pensanti, appassionati, ossessivi anche, perché no, ma ben più euforici giacché confidiamo nel potere del dubbio per schiudere la bellezza dello stupore”. Insomma, Sulla Luna con Kubrick “distruggerà forse il Kubrick mitologico, ma non ne intaccherà il mito; la statura leggendaria Kubrick se l’è assicurata coi suoi film”. E ancora, spiega Ulivieri: “C’è un vecchio adagio del giornalismo inglese che dice: “Mai permettere alla verità d’interferire con una bella storia.” Qui si ha invece l’ambizione di dire la verità come fosse la bella storia da raccontare”.

Kubrick sfrondato da paranoie, complottismi, sensazionalismi; ma soprattutto da ricordi imprecisi, masticati troppe volte, incongrui l’uno rispetto all’altro. Tanto che il libro di Ulivieri potrebbe essere adottato come contrappunto di metodologia della ricerca storica in senso lato. In pratica l’autore, grazie all’assidua frequentazione e carotaggio dal 2005 del Kubrick Archive londinese, compie una ampia, attenta, millimetrica ricerca delle fonti dove al posto del “mi ha detto mio cuggino” c’è il recupero di testimonianze dirette su un determinato evento kubrickiano trasformato in mitologia (“le interviste a caldo sono generalmente più affidabili di quelle rilasciate a distanza di anni dall’accaduto”) che passano poi dal raffronto di più testimonianze o della stessa fonte o di chi ne era vicino, per poi mediare un resoconto il più bilanciato possibile.

Prendiamo il capitoletto dove si analizza la mancata collaborazione di Ennio Morricone con Kubrick per Arancia Meccanica. A riepilogare le decine di dichiarazioni del compositore romano c’è da perderci il sonno. Anche perché in fatto ad autocelebrazione e narcisismo tra i due sarebbe stata una bella gara. Insomma, le versioni su come hanno dialogato i due sono almeno quattro: in modo diretto, attraverso la costumista Milena Canonero, con tramite un Sergio Leone entusiasta e in un’altra versione con un Leone geloso del suo compositore. Nella pratica si passa così da un “eravamo d’accordo su tutto”, “mi avrebbe dato 15 milioni poca roba per una produzione di quel livello”, “avevamo già fissato il suo viaggio a Roma”, a qualcosa di più prosaico: banalmente non trovandosi d’accordo su chi dovesse spostarsi (Kubrick a Roma o Morricone a Londra?), il tempo passò e tutto finì in cavalleria con il musicista italiano che “rifiutò” perché stava finendo di lavorare a Giù la testa (qui sulla cattiveria di Leone su Morricone al telefono con Kubrick lasciamo la curiosità a chi comprerà il libro).

Sulla luna con Stanley, ovviamente, copre tutto l’arco temporale di oltre quarant’anni della filmografia kubrickiana. Quindi verrà sfatato il mito che voleva distrutti da Kubrick tutti i negativi di Fear and desire in quanto insoddisfatto del suo primo lungo (ci fu un italiano in mezzo anche qui, nientemeno che il buon Paolo Cherchi Usai e la celebre rivista Segnocinema a smentire l’assunto); come verrà sostanzialmente confermato che Kubrick tentò di “assicurare” presso i Lloyd’s di Londra la sceneggiatura, o ancora meglio l’idea, di 2001 Odissea nello spazio in quanto temeva – la testimonianza diretta del ’69 è nientemeno che di Arthur C. Clarke – che i progressi della sonda Mariner IV verso Marte avrebbero potuto vanificare la sorpresa della scoperta di vita aliena, quindi il film.

“Stanley cominciò a preoccuparsi che avrebbe trovato i marziani. Così andò dai Lloyd’s di Londra e chiese loro di stipulare una polizza nel caso in cui fossero state scoperte forme di vita”, spiegò Clarke (e anche qui per il resto, ovvero su Nasa e sbarco sulla luna, vi rimandiamo al libro…). Ma non sono solo i film a finire sotto l’analisi di Ulivieri. Nel libro lo scandaglio si accende anche sulla vita privata del regista. Direttamente tra quelle mura domestiche dove l’autore conferma non ci fosse una “stanza temperata” per i gatti (ne aveva sette, Kubrick) ma che in quell’autentico zoo che era la sua magione inglese la sua cura si estendeva nei dettagli perfino costruendo un tunnel dove gatti e cani potessero fare amicizia. Insomma, l’acquolina in bocca ve l’abbiamo fatta venire. Ora tocca a voi kubrickisti (o siete kubrickiani?) chiudere il cerchio tra mito e realtà.