Inutile. Non ce la fanno proprio. Ai tempi di pane e Draghi ricostruire la storia di partiti e leader della sinistra italiana (PCI, PSI, ecc…) fino agli anni Ottanta non è proprio cosa. È quell’uso della lente “senno del poi” a distorcere strategie, concetti e parole di ieri, come se il significato di qualcosa degli anni Settanta si ritrovasse solo nel diabolico vuoto del globalismo del Duemila.

Berlinguer – La grande ambizione, il film diretto e scritto da Andrea Segre, oltre ad essere una lodevole cristallizzazione estetica sull’essenzialità quotidiana di abiti, cucinotti e suppellettili del pre consumismo edonistico (“si campava con poco e si stava bene”), è soprattutto a livello di messaggio politico la mummificazione agiografica di un leader popolare a sinistra come mai nessun altro, impacchettata con il desiderio, magari involontario, di ridurlo, come ha spiegato Luciana Castellina, a generico “leader da Partito Liberale”.

Già, il film di Segre sembra come smussare ogni possibile asperità o durezza politica che l’epoca comportava a partire dallo scontro generazionale casalingo alla pastasciutta nel tinello dei Berlinguer fino ad una specie di atmosfera impiegatizia all’interno della direzione del Partito Comunista, laddove si consumavano invece lacerazioni e scontri dialettici non proprio riassumibili nel borbottare polemico di un macchiettistico Pietro Ingrao.

Sul piano internazionale basterebbe solo ricordare che Mosca ovvero il PCUS non era il nemico modello Spectre a cui genuflettersi in pubblico e in privato tornati a casa accendere un cero con Aldo Moro e pregare per il “compromesso storico”. Insomma il più forte Partito Comunista d’Occidente che tra le regionali del 1975 e le politiche del 1976 sfiorò il primo posto della Democrazia Cristiana in La Grande ambizione sembra già il piccolo nefasto laboratorio neoliberista modello PD dei Veltroni e dei Prodi che per combattere Berlusconi ci siamo dovuti trascinare dietro per altri trent’anni come simulacro di quello storico popolare PCI.

L’apoteosi però arriva quando di fronte alla lista di ministri proposta dalla DC per il governo Andreotti nel marzo 1978 il Berlinguer del film (Elio Germano anche lui travolto dalla corrente mimetica) usa/userebbe un termine assurdo, chiaramente figlio di un oggi dove si scambia la malattia con la cura. Lista che ricordiamo il PCI avrebbe dovuto appoggiare in Parlamento per palesare definitivamente, dopo due anni di astensione parlamentare concordata sul governo monocolore democristiano, il definitivo affermarsi del cosiddetto “compromesso storico”.

Ebbene seduto nel suo ufficio di Botteghe Oscure il segretario del Partito Comunista snocciola i nomi dei politici democristiani e non vedendo alcun nome nuovo o differente rispetto al precedente monocolore esclama: “Ma nemmeno un tecnico!”. Ma chi Draghi? Monti? La Fornero? Intanto, il concetto di “tecnico”, inteso come un esperto professionista di un’area tematica (viepiù quella economico-finanziaria ovvero nella pratica degli ultimi anni quella dei tagli indiscriminati di sanità, pensioni, diritti dei lavoratori, ecc..) piazzato in esecutivi politici nazionali è un’invenzione diabolica delle ingerenze istituzionali finanziarie sovranazionali post 1989. Una disgraziata pratica antidemocratica usata spesso per sostituire maggioranze partitiche democraticamente elette (il Cile di Pinochet) oppure nell’atto di applicare norme e leggi contrarie all’ordine politico neoliberista dominante (alcuni ministri del primo governo gialloverde, ad esempio).

Insomma, al massimo nel marzo del 1978 Berlinguer avrebbe potuto esclamare qualcosa come “nemmeno un indipendente!”. Soluzione lessicale che all’epoca si usava riferendosi a personalità non legate in maniera organica alle correnti di un partito, ma comunque ad esso legato, DC o PCI che fosse, per farsi eleggere in Parlamento (oltretutto raramente per diventare ministro) nel rappresentare una precisa linea politica. Insomma, i “tecnici” non avrebbero salvato alcun “compromesso storico” dall’ingerenza brutta e cattiva dei partiti, anzi a farlo saltare ci fu il botto del rapimento e dell’uccisione di Moro (altro capitolo storico, solita ingerenza sovranazionale). Eppure questa svista, più o meno volontaria, cela in realtà la difficoltà dei cosiddetti progressisti contemporanei – qui in chiave cinematografica – di maneggiare la solita nostalgica mummificazione dell’icona buona ad usum Delphini.

Eccola la lente del senno di poi: quello che è successo dopo va a condizionare quello che era accaduto prima. Insomma se si vuole fare un lavoro storico lasciate che la complessità, anche aspra, meno comprensibile, più peculiare, del passato giganteggi oggettivamente rispetto ad un presente di sinistra che di social-comunista non ha più nemmeno le mutande.

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Riceviamo e pubblichiamo la risposta di Marco Pettenello e Andrea Segre, sceneggiatore e regista del film

Abbiamo letto il suo articolo su Berlinguer. La Grande ambizione pubblicato il 16 novembre dal sito de Il Fatto Quotidiano. Nessun problema se non ha amato il nostro film, e certamente nessun problema se ha deciso di scriverne male. Ci sembra rilevante però farle notare una svista. Lei afferma che l’uso del termine “tecnico” riferito a un ministro della Repubblica sarebbe un anacronismo, in quanto il concetto sarebbe “un’invenzione post 1989”. A questa nostra “svista più o meno volontaria” lei dedica quattro indignati paragrafi in cui sostanzialmente – se ci concede di sintetizzare – sostiene che sarebbe la spia dell’incapacità nostra e dei “cosiddetti progressisti contemporanei” di guardare lucidamente al passato. È nostro dovere fare notare a lei e ai lettori che tale espressione era invece già in uso nel linguaggio politico fuori e dentro il PCI. “Ho dei dubbi sulla presenza di tecnici a noi graditi nel governo perché ciò servirebbe solo ad alleggerire le responsabilità della Dc”, affermava per esempio Chiaromonte durante la Direzione del 23 luglio 1976 (se vuole possiamo inviarle la scansione del verbale originale, custodita all’Istituto Gramsci di Roma). Oppure “La candidatura di Agnelli a Roma così come quella dell’Ex Presidente dell’Eni, il forlaniano Girotti, in un collegio di Ascoli mira anche a riciclare la Dc come partito capace di fare emergere il personale di governo di estrazione tecnico-manageriale”, scriveva Aniello Coppola su Rinascita del 21 maggio 1976. Questi sono solo un paio di esempi trovati in fretta tra i nostri vecchi appunti, ma una breve ricerca negli archivi le permetterebbe di trovarne anche altri. Allora il termine aveva altre sfumature o connotazioni politiche, ma è anche per questo che ci è sembrato interessante usarlo nel film, dando allo spettatore la possibilità di riflettere, tra le altre cose, anche sul destino di un concetto, nella convinzione che la lettura della storia, lì dove fatta con correttezza, sia utile anche alla riflessione sul presente. Infine le facciamo notare che ad aver scritto il film siamo in due, e non il solo Andrea Segre come erroneamente riporta il suo articolo.

Risposta dell’autore

Gentili Marco Pettenello e Andrea Segre, mi scuso prima di tutto con Pettenello (sceneggiatore del compianto Mazzacurati e dell’amico Gianni Di Gregorio) che non ho colpevolmente citato. Dopodiché quando scrivo governo, parlo di potere esecutivo, cioè di incarichi ministeriali che come sapete non sono elettivi (un inciso: il partito di Mario Monti non ebbe grande successo elettorale…). Questo per ricordarvi che quando mi portate a vostro favore esempi d’archivio, come per dirmi “noi ci siamo informati, lei come si permette”, citatemene almeno qualcuno giusto. Nella vostra risposta piccata affermate che due figure della galassia PCI usano il termine di “tecnico” riferito a Umberto Agnelli e Raffaele Girotti candidati nella DC, il primo in un collegio di Roma, il secondo ad Ascoli. Ecco, candidati in Parlamento. Potere legislativo. Aggiungo: nelle liste di un partito politico. Domanda: che diamine di “tecnici” sarebbero due candidati politico-partitici nelle fila della Democrazia Cristiana? Al massimo la definizione di questi candidati poteva essere di “indipendenti nelle fila” di questo o quel partito. Il contrario di ciò che significa il termine “tecnico” dall’era Dini, poi Monti, infine Draghi: figura sostanzialmente apartitica/sovra partitica calata dall’alto per cancellare maggioranze elettorali e applicare tramite incarichi nell’esecutivo direttive sovranazionali. Ad ogni modo, se volete parlare di “tecnici” vi aiuto io. Prendiamo Gaetano Stammati, ministro delle finanze del Moro V (1976), negli anni Sessanta funzionario ministeriale, consigliere dell’IRI, presidente della Banca Commerciale Italiana. Come recitano tutti i manuali di storia della politica italiana, Stammati viene nominato ministro da Moro come “indipendente” ma provenendo dall’area DC. Partito per il quale Stammati diventerà senatore con le elezioni del 1976 e pensate un po’ perfino nella lista dei ministri (ai Lavori Pubblici) che Berlinguer/Germano legge nel film. Allora chiedo: perché fate esclamare a Berlinguer “nemmeno un tecnico (o “un indipendente” che sarebbe l’unico appellativo che avrebbe senso)?”. Delle due: o quella battuta è forzata col “senno del poi” oppure è storicamente errata. Ed è errata, torno a ripeterlo, perché il significato che date a quel termine con il linguaggio del neoliberismo attuale è quello dell’oggi e non dell’ieri. Del resto lo scrivete anche voi “allora il termine aveva altre sfumature o connotazioni politiche”. Ecco: 50 sfumature di tecnico, ma molto molto sfumate. Cordialità. Davide Turrini.

Contro-risposta di Marco Pettenello e Andrea Segre

Ci scusi ma gli esempi che riportiamo sono due, il primo parla di candidature parlamentari ma anche di “personale di governo”, mentre il secondo, quello di Chiaromonte, parla chiaramente di ministri proprio come nel film. Potrebbe interessarle un’altra citazione, sempre di Gerardo Chiaromonte e forse ancora più a fuoco, a proposito del governo Andreotti del ‘78, lo stesso di cui si parla nella scena incriminata: “Una lista desolante. Pochissimi cambiamenti e di non grande peso politico (…) nessun tecnico (…) al di fuori di Ossola, che faceva già parte del precedente governo” (G. Chiaromonte, “Le scelte della solidarietà democratica. Cronache, ricordi e riflessioni sul triennio 1976-1979”). Quanto a Stammati, essendo parlamentare dal 1976, era forse da considerarsi un politico e non un tecnico, per quanto non iscritto alla Dc.

Il punto della questione ci sembra comunque molto semplice: lei costruisce la sua argomentazione sul fatto che la parola “tecnico” nel 1978 non si sarebbe usata, mentre invece si usava eccome. Un saluto.

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