“Siamo molto preoccupati, esiste un problema di gestione del dissenso che non può essere affrontato attraverso strumenti penali. I conflitti possono essere deleteri se non si basano sul rispetto reciproco delle posizioni e possono essere invece molto fruttuosi se vengono gestiti e governati. Ma per farlo non si può ricorrere allo strumento penale. Non si possono inventare nuove norme per radicalizzare il dissenso e, addirittura, criminalizzarlo“. Questa riflessione critica sul ddl Sicurezza – il provvedimento del governo, approvato dalla Camera, che introduce vari nuovi reati in materia di ordine pubblico – rischia di costare a un magistrato una procedura di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale, un procedimento disciplinare o addirittura entrambe le cose. Il magistrato in questione è Stefano Musolino, esperto pubblico ministero anti-‘ndrangheta, procuratore aggiunto di Reggio Calabria e segretario di Magistratura democratica (Md), storica associazione delle toghe progressiste, di recente oggetto di feroci attacchi da parte del governo per le decisioni sui trattenimenti di migranti adottate dalla sua presidente, la giudice Silvia Albano. Il 19 ottobre scorso, ospite di un dibattito organizzato dai comitati contro il Ponte sullo Stretto a Villa San Giovanni, Musolino aveva criticato il ddl Sicurezza con le argomentazioni tecniche citate sopra, in un ragionamento pacato e tutt’altro che incendiario o strabordante. Eppure, nel pieno dell’offensiva politica contro il potere giudiziario, al Consiglio superiore della magistratura c’è chi ha chiesto di punirlo proprio per quell’intervento: si tratta delle due consigliere laiche Isabella Bertolini, ex deputata berlusconiana eletta a palazzo Bachelet in quota Fratelli d’Italia, e Claudia Eccher, storica avvocata del leader leghista Matteo Salvini, scelta dal Carroccio.

Il 28 ottobre scorso Bertolini ed Eccher hanno scritto al Comitato di presidenza, l’organismo di vertice del Csm, composto dal vicepresidente Fabio Pinelli – pure lui avvocato in quota Lega – e dai due “capi” della Corte di Cassazione, la prima presidente Margherita Cassano e il procuratore generale Luigi Salvato. Prendendo le mosse da un articolo di Libero, dal titolo “Toh, una toga rossa a un evento contro il governo“, le due consigliere accusano Musolino di aver partecipato a un dibattito “avente una spiccata connotazione antigovernativa” con affermazioni “di contenuto politico”. Le frasi del pm rappresentano addirittura “una violazione dei principi costituzionali di imparzialità e indipendenza che secondo la Costituzione tutti i magistrati debbono osservare, avendo i costituenti previsto una magistratura apolitica e professionale”, scrivono, citando pure il divieto per giudici e pm di iscriversi a partiti politici. E chiedono “l’apertura di una pratica in Prima Commissione”, competente sulle procedure di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale, “nonché presso le altre articolazioni consiliari competenti individuate anche al fine di eventuali profili disciplinari“. Il Comitato di presidenza ha quindi trasmesso la segnalazione, oltre che alla Commissione, anche alla Procura generale della Cassazione, l’ufficio che deve valutare se esercitare l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati. Se questo accadrà, Musolino finirà sotto processo di fronte allo stesso Csm e rischierà sanzioni che vanno dall’ammonimento alla rimozione dall’ordine giudiziario. Bertolini ed Eccher non sono nuove a questo tipo di iniziative: la scorsa estate avevano chiesto l’apertura di una pratica a carico dei tre giudici del Riesame di Genova che avevano negato gli arresti domiciliari a Giovanni Toti (richiesta poi archiviata rapidamente dal plenum).

Sul caso che coinvolge il procuratore aggiunto di Reggio è intervenuto con parole preoccupate il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia: “Questa non è più una pretesa di imparzialità, ma richiesta di silenzio, e non è accettabile. Un magistrato sui temi della giustizia può intervenire argomentando e spiegando, perché è il nostro specifico campo professionale, non si può chiedere il silenzio in nome dell’imparzialità. Si sta oltrepassando il confine del possibile“, dice a margine della seduta del Comitato direttivo centrale, il “parlamentino” del sindacato delle toghe. “Una cosa è l’imparzialità, un’altra la soggezione silenziosa al governo. Non è nella cifra della nostra fisionomia costituzionale e democratica. Forse fare associazionismo giudiziario diventa agli occhi di qualcuno un modo per venir meno ai doveri di imparzialità. Ma allora dovrebbero processarci disciplinalmente tutti“, argomenta. “Credo ci siamo un momento di grande confusione. Lo spazio lo abbiamo tracciato noi, forti della giurisprudenza costituzionale e dei moniti della presidenza della Repubblica nel nostro congresso: parlare se e quando la parola del magistrato ha un senso. Se nemmeno questo si può fare, credo che il clima stia raggiungendo una sorta di inaccettabilità preoccupante“, afferma.

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