Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo alcuni estratti - 2/2
Greta Garbo è stata un’autentica leggenda del cinema, al pari di pochissimi altri suoi colleghi dello stesso periodo (gli anni della cosiddetta “età dell’oro” di Hollywood): Rodolfo Valentino, Marlene Dietrich e Charlie Chaplin.
Altri attori di quel tempo, artisti straordinari, sono invece oggi quasi del tutto dimenticati: Pola Negri, Erich Von Stroheim, Louise Brooks, Buster Keaton, Clara Bow, Douglas Fairbanks, Mary Pickford, Lewis Stone, Norma Shearer e altri ancora.
Greta Garbo è stata la Diva per eccellenza, anzi la “Divina”, come cominciarono a chiamarla in tutto il mondo, dopo soli sei o sette film girati dall’attrice; una carriera fulminante, cominciando da zero quando era ancora minorenne, senza alcun tipo di facilitazione, provvista unicamente di talento e determinazione.
«Sa recitare, non sa recitare, è solo un volto, no è un’artista straordinaria», tutti argomenti un po’ oziosi perché, con soli ventotto film, Greta Garbo diventa l’ossessione di milioni e milioni di spettatori osannanti, scatenando un’isteria collettiva che aveva conosciuto un solo precedente di quella portata: Rodolfo Valentino.
I critici cinematografici impazziscono per lei, le attribuiscono alcuni fantasiosi soprannomi, oltre al già citato “Divina” (la prima e unica Divina di tutta la storia del cinema) che diventa il suo marchio di fabbrica, viene soprannominata anche “Sfinge svedese”, “timida Valchiria”, “Principessa nordica” per quella sua aria misteriosa e distaccata, e ancora “First Lady di Hollywood”, “Cigno svedese”, “Mistero artico”, “Enigma abbagliante” e perfino “l’Incomparabile”.
La Garbo è una donna indipendente e determinata, rifiuta con fermezza l’idea di realizzarsi come donna attraverso la maternità né le interessa sposarsi, per giunta è assolutamente un’anti-diva; nella seconda metà degli anni Venti, pone inconsapevolmente una questione di genere: si percepisce al maschile e spesso parla di sé in questi termini: «fumo fin da quando ero un ragazzo» oppure «sono un uomo che soffre d’insonnia» o ancora «dai a questo vecchio una tazza di tè». […]
Nei giorni in cui la Garbo sta preparando con estrema attenzione lo studio di quel ruolo ne La donna divina che, seppure alla lontana, richiama i mitici echi di Sarah Bernhardt, l’attrice riceve una lettera di Mimi Pollak che le riempie il cuore di gioia: l’amica ha deciso che si sposerà con il suo fidanzato, l’attore Nils Lundell, la Garbo conclude così la propria lettera in risposta a Mimi: «Sogno di vederti e di scoprire se tieni ancora tanto al tuo vecchio scapolo. Ti amo, piccola Mimosa». […]
Il suo successo è travolgente e s’impenna al pari del suo cachet: nella seconda metà degli anni Trenta, Greta Garbo è la donna più pagata d’America, nel 1936, infatti, la Divina arriva a percepire un compenso da follia, circa trecentomila dollari per un film, una somma assolutamente inimmaginabile per quei tempi, che oggi corrisponde alla cifra di circa quattro milioni di dollari.
Eppure, nonostante la fama, la ricchezza e il successo, la Garbo rimane profondamente insofferente (per non dire ostile) alle dinamiche dello star-system americano e, in breve tempo, matura la consapevolezza che Hollywood e la sua liturgia non fanno per lei. Per questa ragione, decide di ritirarsi dalle scene a soli trentasei anni, ancora bellissima e già multimiliardaria, scomparendo per sempre dalla scena pubblica, rifiutando qualunque offerta provenga da cinema, giornali e televisioni, consegnandosi per sempre al Mito.
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Al Moma, il Museum of Modern Art di New York, c’è un suo amico, Allen Porter, che è l’addetto al dipartimento dei film, ogni tanto la Divina lo chiama a sorpresa, le piace rivedersi nei suoi vecchi film e il suo amico cerca sempre di accontentarla; se la Garbo lo chiama per concordare una proiezione privata, il fedele amico predispone tutto. Quando la Divina raggiunge il Moma, Allen va subito dall’addetto alla proiezione e si limita a dire con tono solenne semplicemente «Lei è qui», senza nominarla; le visite a sorpresa della Garbo al Moma devono rimanere avvolte nel più assoluto riserbo. Così, nel buio della sala, la Garbo rivede se stessa e vede scorrere una vita che in realtà sembrano tre vite fa, qualcosa che pare arrivare da molto più lontano di trent’anni prima. Un pomeriggio la Garbo rivela ad Allen un piccolo segreto: «Io non ho mai detto, come molti mi attribuiscono, “voglio stare da sola” (I want to be alone), ho detto piuttosto “Voglio essere lasciata in pace” (I want to be let alone), c’è una grossa differenza».