Non c’è solo l’opposizione, o per meglio dire l’isolamento, internazionale di Israele sancito dall’ultimo voto alle Nazioni Unite sul diritto all’autodeterminazione della Palestina a mettere pressione sul governo Netanyahu. Dopo il sospiro di sollievo per la vittoria elettorale di Donald Trump, il primo ministro di Tel Aviv deve fare di nuovo i conti anche con chi, all’interno del suo stesso Paese, ha deciso di scendere nuovamente in piazza per spingere l’esecutivo a trovare un accordo per la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. Così, in diverse città israeliane, da Tel Aviv a Gerusalemme, fino a Bèer Sheva, migliaia di persone sono pronte a marciare per chiedere “un accordo a ogni costo, anche se doloroso”.
Nella capitale israeliana, i manifestanti hanno fissato l’appuntamento alle 20 di fronte al Ministero della Difesa, dove i familiari di alcuni degli ostaggi terranno anche una conferenza stampa per ribadire la loro posizione e chiedere di nuovo all’esecutivo Netanyahu di arrivare il prima possibile a un accordo con il partito armato palestinese che governa la Striscia di Gaza. A Gerusalemme, invece, la marcia di protesta partirà alle 19 da Zion Square e alle 20 si terrà una manifestazione a Paris Square. Infine, a Bèer Sheva la marcia partirà alle 19 e alle 20 ci sarà una manifestazione nella piazza del Mishkan Performing Arts Center. Niente cortei, invece, a Haifa a causa delle restrizioni sugli assembramenti in città. Ci sarà comunque una veglia di protesta per gli ostaggi a Safar Square.
Mentre Israele manifesta per la liberazione dei suoi cittadini catturati il 7 ottobre 2023 dai miliziani del Movimento Islamico di Resistenza, il conflitto al Nord con Hezbollah continua. La sinagoga di Haifa, nel nord di Israele, è stata colpita da un attacco missilistico sferrato dal sud del Libano, riferiscono le Idf in una nota aggiungendo che quattro persone sono rimaste ferite. Nella Striscia di Gaza si consumano invece nuove stragi nei confronti di civili innocenti. Nella mattinata di sabato, le forze israeliane hanno “colpito e distrutto un edificio residenziale” nel campo profughi di Jabaliya, secondo quanto riportato da Al Jazeera. A Rafah invece, secondo quanto riportato dall’agenzia Wafa, almeno cinque persone sono rimaste uccise e molte altre ferite in raid israeliani. Tre giovani sono stati uccisi da un drone che ha preso di mira un gruppo di persone nel quartiere Al-Janina, mentre un altro raid aereo ha ucciso due persone nel quartiere Khirbet al-Adas.
Anche il campo profughi di Shati, a Gaza City, è stato oggetto di bombardamenti. Quelli che hanno colpito un ex edificio scolastico che ospita sfollati palestinesi hanno causato la morte di 10 persone, ferendone almeno altre 20. Nella scuola Abu Assi gestita dall’Onu, dove sono in corso le operazioni di soccorso, potrebbero esserci ancora persone intrappolate sotto le macerie, hanno affermato le autorità sanitarie.
Nei giorni scorsi, il diritto all’autodeterminazione della Palestina è stato oggetto di un nuovo voto della Terza Commissione delle Nazioni Unite che con ben 170 favorevoli e solo 6 contrari (Argentina, Israele, Micronesia, Nauru, Paraguay, Stati Uniti) e 9 astensioni (Kiribati, Liberia, Palau, Panama, Papua Nuova Guinea, Ruanda, Togo, Tonga, Tuvalu) ha approvato il progetto Il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione. Nel testo si “sottolinea l’urgenza di raggiungere, senza indugio, la fine dell’occupazione israeliana iniziata nel 1967 e un accordo di pace giusto, duraturo e completo tra le parti palestinese e israeliana, riaffermando il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, incluso il diritto al proprio Stato indipendente di Palestina“. Oltre al contenuto, oggetto di una diatriba internazionale e interna allo stesso Stato di Israele che va avanti da decenni, significativo è il numero di Paesi a favore: di fatto, Israele e Stati Uniti, col loro voto contrario, hanno sancito il proprio isolamento sul tema del diritto dei palestinesi a un proprio Stato.