Ho partecipato all’evento “Ai&Education” del 12 novembre al Politecnico di Milano, che ha offerto una prospettiva sul futuro dell’apprendimento nell’era dell’intelligenza artificiale. Non si tratta di un’invasione di algoritmi nelle aule, ma di un’opportunità per ripensare il nostro rapporto con tecnologia, educazione e società.

Durante l’incontro, Susanna Sancassani, direttrice del Metid, ha suggerito la metafora dell’AI come bicicletta. Come la bicicletta, l’AI è uno strumento potente che evolve in dialogo con la società. La storia della bicicletta, dal monociclo alle moderne e-bike, insegna che l’innovazione non procede in modo lineare, ma si plasma attraverso l’interazione con il contesto sociale e culturale.

L’integrazione dell’AI nell’educazione dovrebbe essere una co-evoluzione tra educatori, studenti e società, non un processo imposto dall’alto. Lorenzo Maternini, membro della Commissione per l’Intelligenza Artificiale della Presidenza del Consiglio, ha sottolineato il rischio che colossi tech come Microsoft e Google monopolizzino il settore edutech, imponendo modelli standardizzati che ignorano le peculiarità locali e culturali.

Antonio Palmieri, presidente della Fondazione Pensiero Solido, ha messo al centro di questa innovazione la persona come sistema di relazioni. Ha evidenziato che la tecnologia deve valorizzare l’essere umano e non depotenziarlo, promuovendo una formazione che esalti le nostre capacità relazionali in ogni organizzazione.

Le tecnologie devono servire l’inclusione, specialmente in questa nuova ondata di formazione non esclusiva delle multinazionali. Gli strumenti educativi digitali devono essere accessibili e riflettere la diversità delle esperienze e dei bisogni delle comunità. La sfida è promuovere un ecosistema educativo diversificato, in cui i piccoli attori della formazione possano avere un ruolo cruciale. Questi “artigiani della formazione” possono rispondere in modo flessibile e mirato alle esigenze locali, come i piccoli produttori di biciclette si sono adattati ai ciclisti di diverse regioni.

Le tecnologie devono supportare, non depotenziare, le capacità umane. Il principio “if you don’t use it, you lose it” ci ricorda che l’eccessiva delega alle macchine rischia di atrofizzare le nostre abilità. L’AI nell’educazione deve amplificare le nostre capacità, non sostituirle rendendoci passivi e dipendenti.

L’urgenza è la formazione continua e l’aggiornamento ai nuovi strumenti, il reskilling. Se non agiamo ora, rischiamo di trovarci senza alternative in un futuro lavorativo guidato dall’AI. Serve un modello europeo che valorizzi le realtà locali e le comunità, non un’importazione acritica di sistemi dall’estero. È necessario andare oltre l’AI act della Ue, già inadeguato rispetto all’innovazione.

E allora, come diceva Steve Jobs, il computer è “una bicicletta per la mente”. È tempo di salire su questa nuova bicicletta dell’intelligenza artificiale e pedalare verso un futuro in cui la tecnologia amplifica il nostro potenziale senza soffocarlo. Ma la bicicletta non pedala da sola. Sta a noi decidere dove andare, senza lasciare che altri scelgano per noi la strada. Se vogliamo che l’AI sia al servizio di tutti, dobbiamo assicurarci che questa “bicicletta” sia accessibile e che siamo noi a decidere i percorsi da intraprendere non quelli preconfezionati da parte delle multinazionali di turno.

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Inefficienza artificiale: così la tecnologia rende il mondo un posto più confuso

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