Anche gli specializzandi aderiranno allo sciopero della sanità pubblica del 20 novembre. La manovra ha deluso pure i medici in formazione. La legge di bilancio ha previsto che per loro gli aumenti di “stipendio” arrivino solo nel 2026 e in quantità molto minore rispetto alle attese. Ma soprattutto all’orizzonte non si vede ancora nessun progresso sul fronte della riforma della formazione medica, invocata da più parti per ridare linfa ed energia a un Servizio sanitario nazionale allo stremo. Negli ospedali, indeboliti sempre di più dalla carenza di personale medico e infermieristico, gli specializzandi sono ormai una risorsa fondamentale. Il loro lavoro permette a molti reparti di continuare a erogare prestazioni e di evitare il ricorso massivo ai costosi gettonisti delle cooperative. Eppure questo ruolo stenta ancora a venir riconosciuto, sia dal governo Meloni che dalle università, da cui gli specializzandi ancora dipendono. Il risultato è l’aumento dell’insoddisfazione dei medici in formazione. Una categoria professionale che presto dovrà scegliere se rimanere a lavorare all’interno del Ssn o meno e dalle cui decisioni dipende il futuro della sanità pubblica in Italia.

Lo “stipendio” degli medici in formazione – la borsa di studio di 1.652 euro al mese nel primo biennio e 1.711 euro nel secondo – è diviso in una quota fissa, stabile per tutta la durata della specializzazione, e in una variabile, che aumenta nel corso degli anni. Quest’ultima vale, infatti, 165 euro nel primo biennio e 237 nel secondo. L’articolo 59 della manovra – “Disposizioni per i medici in formazione specialistica” – ha previsto che, a partire dal 2026, la quota fissa cresca del 5% per tutti gli specializzandi, di qualsiasi scuola e di qualsiasi anno. Un aumento che vale 80 euro netti in più al mese. Inoltre, lo stesso articolo prevede anche un incremento pari al 50% per la quota variabile dell’assegno, ma solo per determinate specializzazioni: le 28 meno frequentate rispetto al totale delle 52 presenti in Italia. In questo caso, l’aumento del 50% corrisponderà a 82 euro netti per i primi due anni e 118 per il biennio conclusivo.

La volontà alla base di questo provvedimento, che costerà 120 milioni all’anno, è cercare di risolvere le carenze del sistema, rendendo più appetibili le specializzazioni meno scelte dai neo medici. Come per esempio la medicina d’emergenza urgenza che, anche quest’anno, sui 1.020 contratti banditi ne ha visti assegnare solo 304, il 30%. “Ma non hanno capito che il problema non è puramente economico”, commenta a ilfattoquotidiano.it Giammaria Liuzzi, responsabile nazionale di Anaao Giovani.

“Tutti gli specializzandi sono arrabbiati – prosegue Liuzzi -. Questo provvedimento è un ‘pagherò’. I soldi si vedranno solo a partire da ottobre 2026, tra due anni. In questo modo non si dà nessuna risposta a un problema immediato. Anche perché si deve considerare che i 1.652 euro della borsa servono anche a coprire delle spese obbligatorie che ogni specializzando è costretto ad affrontare. Come l’assicurazione sanitaria, l’Enpam (l’organismo di previdenza del personale medico, ndr), la quota annuale da versare all’ordine dei medici e le tasse universitarie. Alla fine – spiega Liuzzi – restano circa 1300 euro. Per questo avevamo chiesto il triplo di quanto stanziato dalla manovra. Per adeguare al costo della vita un contratto che non viene ritoccato da 25 anni”.

Ma soprattutto, secondo il presidente di Anaao Giovani, il provvedimento non aumenterà l’appeal delle specializzazioni meno ambite. “Non è con questi soldi che si troveranno i futuri medici di pronto soccorso – commenta -. Gli specializzandi non scelgono medicina d’emergenza urgenza perché questa scuola non è strutturata a misura di formazione. Vengono usati come tappabuchi, non gli viene data una preparazione adeguata e soprattutto non gli viene permesso di essere assunti dalle aziende mediante il decreto Calabria. Così, l’unica fonte di personale diventano le cooperative che offrono a peso d’oro i loro gettonisti”.

E il problema si aggrava per le specialità collegate alla gestione del paziente oncologico, sia per quanto riguarda la diagnosi che la terapia di un tumore. “Pensiamo a radioterapia e anatomia patologica – spiega Liuzzi -. Per queste specialità, che soffrono di gravi carenze, non è possibile neanche ricorrere ai costosi gettonisti. Non posso chiamare un medico di una cooperativa a leggere i vetrini per decidere se il tumore di un paziente è benigno o maligno. Così come non posso mettere un gettonista a fare la radioterapia. E i pazienti si trovano così a dover aspettare mesi prima di sapere se hanno un tumore o meno”.

La prima richiesta di Anaao Giovani e delle altre associazioni di categoria, come Giovani Medici per l’Italia e Associazione Liberi Specializzandi, è che si lavori subito a una riforma della formazione medica che inquadri gli specializzandi come lavoratori e non più come studenti universitari. “Bisogna far sì che i baroni non abbiano più potere sugli specializzandi. Che non possano più costringerli a fare lavori demansionanti, demotivanti, ripetitivi e poco formativi. O che, illegalmente, mettano un medico in formazione a sostituire uno strutturato, per colmare le carenze del loro personale”, commenta Liuzzi. E conclude: “Il calo della vocazione, di cui spesso si sente parlare per giustificare la mancanza di specialisti, è una fesseria. La verità è che gli schiavizzandi non sopportano più di fare una vita d’inferno”.

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