Il 18 dicembre 2023 cominciò a circolare la notizia dell’esposto presentato dal Collegio Sindacale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Città della Salute di Torino alla Procura della Repubblica presso il Tribunale, alla Procura della Corte dei Conti del Piemonte e all’Assessorato alla Sanità del Piemonte. Stando ai giornali, l’esposto denunciava “…il disordine amministrativo che regna in alcuni settori dell’Azienda frutto di negligenze ed omissioni…”. E ancora: “I fatti potrebbero avere impatto sulla correttezza e veridicità dei dati di bilancio”.

Dopo quasi un anno, il 17 ottobre 2024, i pubblici ministeri Rizzo e Bendoni, della Procura della Repubblica di Torino, hanno chiuso le indagini preliminari, notificando 25 avvisi di garanzia a chi negli ultimi anni si è avvicendato ai vertici della Città della Salute di Torino: direttori generali, amministrativi e sanitari. I giornali e le cronache cittadine ne hanno parlato, riferendo particolari che hanno consentito a tutti coloro che lo hanno voluto di essere adeguatamente informati.

Riassumendo, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino non avrebbe incassato, come invece doveva, il 5% sui compensi della libera professione svolta dai medici all’interno della struttura pubblica, destinandolo all’attività di prevenzione e alla riduzione delle lunghe liste di attesa. Comportamenti che, a quanto è dato saperne, sarebbero continuati fino all’avvio delle indagini. La cifra non riscossa supererebbe i sette milioni di euro, calcolati per l’arco di tempo analizzato dagli inquirenti, cioè tra il 2015 e il 2022. Considerato che i fatti antecedenti al 2018 sono prescritti, l’ammanco oggetto della contestazione dei pubblici ministero è ridotto a quasi due milioni di euro.

A chiusura delle indagini preliminari, gli indagati hanno venti giorni di tempo per istanze, memorie, note ecc. a loro discolpa; i Pm hanno tempo fino al 6 dicembre per valutarle. Potranno decidere l’archiviazione, nel caso in cui non ritengano l’accusa sostenibile in giudizio, oppure richiedere al giudice per le indagini preliminari il definitivo rinvio a giudizio degli indagati. Entro i successivi 15 giorni, il Gip fisserà l’udienza preliminare nel corso della quale valuterà gli elementi di colpevolezza rilevati dai pubblici ministeri durante le indagini.

In questa fase, gli enti e i soggetti che ritengono di essere parte lesa si costituiscono parte civile in difesa dei propri interessi. A oggi, non risulta che la Regione Piemonte, certamente parte lesa nella vicenda, si sia costituita parte civile nel giudizio.

Nella stessa situazione risulta essere l’AOU Città della Salute, per la quale c’è qualche complicazione in più. Infatti, tra le proposte di rinvio a giudizio c’è anche quella per l’attuale Direttore Generale, dott. Giovanni La Valle, ovvero colui che ha la rappresentanza legale dell’Azienda. Se anche lui dovesse essere definitivamente rinviato a giudizio, risulta difficile pensare che in qualità di Direttore Generale della Città della Salute possa essere lui a costituirsi parte civile, per il fatto che lo farebbe contro se stesso.

Il tema è tutto nelle mani di Federico Riboldi, assessore regionale alla sanità, lo stesso che il 19 ottobre scorso ha nominato un team di “tecnici” esperti per rafforzare la legalità nella sanità piemontese sul quale sono fioccati da ogni parte dubbi e critiche. Gli esperti sono: Antonio Rinaudo, ex Pm della direzione distrettuale Antimafia e Antiterrorismo della Procura della Repubblica di Torino; Filippo Dispenza, prefetto a riposo; Franco Frasca, generale di Brigata (nella riserva) dell’Arma dei Carabinieri; Giovanni Mainolfi, generale di Corpo d’Armata (Aus) della Guardia di Finanza. Interagiranno con le Aziende Sanitarie che gestiranno le gare d’appalto per la realizzazione del piano degli investimenti previsti nella sanità piemontese.

L’iniziativa dei “quattro moschettieri della legalità” è inciampata subito su almeno un paio di fatti di rilievo: tra gli indagati della Città della Salute di Torino c’è anche la moglie dell’ex pm Rinaudo. La signora – racconta Lo Spiffero, giornale online – ha ricoperto il ruolo di direttore amministrativo dell’Azienda Ospedaliera durante uno dei periodi sottoposti a indagine dalla Procura di Torino. Non risulta che il giornale sia stato smentito.

Se non bastasse, un secondo moschettiere, Giovanni Mainolfi, presiede una società, la C Zeta di Vicenza, destinataria di una interdittiva antimafia, con su scritto che l’azienda sarebbe infiltrata dalla malavita organizzata. Già cominciano a diffondersi i primi rumors intorno alle attività imprenditive di un terzo moschettiere.

Dunque, quella dei “quattro moschettieri della legalità” sembra proprio un’operazione fallita prima ancora di cominciare.

Sorprendente il fatto che, mentre il presidente Cirio e l’assessore Riboldi hanno dichiarato la necessità di contrastare ipotetiche illegalità nominando i moschettieri, non abbiano detto nulla sulla vicenda delle mancate registrazioni nei bilanci dell’AOU Città della Salute e delle mancate riscossioni dei proventi collegati all’attività di libera professione svolta in ospedale dai medici dell’Azienda. Reati per i quali i Pm di Torino, come ricordavo, hanno appena chiuso l’inchiesta dopo oltre un anno di indagini.

Anche per questo si avverte un problema di credibilità: se c’è una corrispondenza fra dichiarazioni e azioni, il presidente Cirio deve subito dare mandato agli uffici regionali di costituirsi parte civile nella vicenda della Città della Salute e chiedere all’assessore di risolvere in fretta l’intrigo affinché l’Azienda si costituisca anch’essa, già a partire dalla ormai prossima udienza preliminare davanti al Gip.

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