Con l’inizio del governo di Claudia Sheinbaum (primo ottobre) e in vista del cambio di governatori e sindaci (previsto per inizio dicembre) le cronache messicane si sono di nuovo riempite di fatti cronaca legati alla violenza. Le scuole chiuse e le continue sparatorie di Culiacan (in Sinaloa) e l’omicidio di Padre Marcelo (in Chiapas) hanno catalizzato l’attenzione in un primo momento. Poi sono stati i casi di Oaxaca e Queretaro a prendere l’attenzione, stati e città non tipicamente interessati a fenomeni di criminalità organizzata, almeno nel dibattito pubblico e nella percezione delle persone. “La violenza non risponde a una sola causa. In Sinaloa, per esempio, è il risultato dello scontro interno al gruppo criminale locale a seguito dell’arresto, e dell’estradizione negli Stati Uniti, di Mayo Zambada. In Querétaro le indagini sull’omicidio di 10 persone indicherebbero che si è trattato dell’esecuzione dei uno dei vertici cittadini del Cartello Jalisco Nueva Generacion. L’omicidio del sindaco di Chilpancingo, in Guerrero, sarebbe legata al controllo territoriale e all’azione del gruppo noto come Los Ardillos. Pare che l’esecuzione del presidente municipale fosse legata al suo rifiuto nel nominare personaggi cari al gruppo criminale in posizioni chiave del governo municipale” dice Ricardo Pérez Zuñiga, giornalista ed editore messicano. Lo stato di Oaxaca però non è mai stato considerato del tutto sicuro e oggi è al centro di progetti infrastrutturali che muovono il rifiuto delle popolazioni indigene e campesine locali.

Queretaro è un discorso diverso come sottolinea Christian Ascensio, docente all’Unam, che vive proprio lì. “Questa è considerata, con Merida e generalmente lo Yucatan, come una delle città (e stato) più sicure del paese”. Il professore aggiunge che “il fatto che sia avvenuto li un attacco di tale dimensione accende i campanelli d’allarme sulla possibile rottura di uno spazio tradizionalmente considerato neutrale dal punto di vista della dinamica criminale. Ci sono diverse ipotesi in campo sul cosa significhi questo, una sarebbe, sebbene non lo desideriamo, è che si stia scatenando una conflittualità interna allo stato. Ciò potrebbe porre fine al periodo di pace e tranquillità che ha caratterizzato Querétaro. Esiste anche la possibilità che sia un episodio isolato e che in realtà abbia a che fare con una dinamica recente”. Quale sarebbe la dinamica secondo Ascensio? “Molte persone che fuggono dai luoghi di maggior tensione in termini di criminalità, come Michoacán e Guanajuato, transitano o si rifugiano in Querétaro”. Questo giustificherebbe l’indagine di azione mirata per colpire un membro del Cártel de Jalisco. Però la dimensione dell’attacco, e il numero di persone uccise, potrebbe anche essere letto come un tentativo di ‘scaldare la piazza‘, come si dice nel gergo criminale. Cioè, provocare la risposta diretta delle autorità per ripristinare la tranquillità. Ma anche modificare la percezione dello stato per togliere ‘un porto sicuro‘ dove rifugiarsi”.

Ciò che si sta chiedendo in Messico è se la recrudescenza e allargamento degli episodi di violenza siano legati ai cambi di governo e alla costruzione di un nuovo equilibrio. Per Ricardo Pérez Zuñiga “è possibile che questo stia accadendo a livello locale. Ad esempio, in Tabasco, dove ci sono stati episodi di violenza che coincidono con l’arrivo di un nuovo governatore. Il nuovo governatore May ha accusato i funzionari dei governi precedenti di essere coinvolti con il crimine organizzato”. “In questo momento non è possibile dire se si stia creando un nuovo equilibrio, o se piuttosto quello che stiamo vedendo è una rottura di certi accordi e quindi ciò che stiamo osservando è la rottura dell’equilibrio” dice Ascensio. “Bisognerà vedere come si evolvono le cose per capire se, mentre si rompe e si frantuma l’equilibrio tradizionale emerge un nuovo equilibrio che passa dalla riorganizzazione dei gruppi criminali e gli stati della repubblica. Potrebbe anche essere che questi eventi siano isolati e che non siano necessariamente l’espressione di una guerra scatenata e frontale”.

Massimo Modonesi, docente nella facoltà di Scienze Politiche dell’Unam, sottolinea che prima di tutto “bisogna vedere se c’è, come sembrerebbe, un aumento della violenza in questi ultimi mesi e settimane. C’è la sensazione che ci sia una decomposizione che si sta acutizzando in alcune regioni che già erano problematiche. Però mancano i dati e spesso ci si affida a quanto riportano i giornali. La sensazione per i lettori di quotidiani è che ci sia davvero l’aumento della violenza. Ci sono fattori che potremmo definire strutturali. E a differenza di quanto viene detto dai sostenitori del governo non ci sono dinamiche socio-economiche che spiegherebbero una maggiore integrazione sociale e una riduzione della povertà così significativa da togliere al crimine organizzato le sue basi sociali”. Christian Ascensio termina ricordando che i cambi di governo “evidentemente possono cambiare le modalità di confronto non solo per il controllo del territorio, ma anche per gli accordi che i gruppi politici precedenti hanno stabilito con alcuni gruppi legati alla criminalità organizzata. Il cambiamento politico porta con sé nuove pressioni sui nuovi membri della vita politica affinché accettino certe dinamiche già stabilite. E se non è questo il caso, può accadere che proprio la violenza si scateni come una forma di pressione politica che influisce sulle politiche di sicurezza, e pertanto, sia orientata a evitare interventi politici o interventi dello Stato in dinamiche legate al traffico illegale di stupefacenti, di persone, di organi, ma anche attorno a progetti estrattivisti. In questi termini, la violenza può, naturalmente, costituirsi come una forma di pressione politica”.

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