È toccato al premier canadese Justin Trudeau dire ciò che tutti gli altri leader occidentali sanno da tempo, ma non hanno mai avuto il coraggio di ammettere: “Tutti gli alleati del mondo non potrebbero sostituire un ritiro completo del sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina“. Viste le premesse (e le promesse) legate alla vittoria di Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali americane, è una questione che gli alleati di Kiev devono affrontare il prima possibile perché presto il peso del sostegno alla causa ucraina potrebbe ricadere su di loro. Quello di Trudeau non deve tuttavia essere interpretato come un disimpegno, ma più come un appello a Washington: il suo governo rimane impegnato per la vittoria dell’Ucraina e una rapida fine della guerra, cose che “potrebbero accadere nei prossimi mesi”, ma “siamo anche molto franchi”, ha aggiunto spiegando l’importanza del supporto americano: sostituire un ritiro completo degli Usa sarebbe impossibile. Per questo, spingere per una trattativa sembra essere ormai l’unica soluzione praticabile per il fronte a sostegno dell’Ucraina. Il sostegno americano non è più così scontato, quello europeo rischia di non essere sufficiente e, comunque, soggetto alla debolezza interna e dell’asse franco-tedesco. A questo proposito il presidente francese Emmanuel Macron, in visita di Stato in Argentina, ribadisce che l’Europa deve rimanere “unita agli ucraini” per cercare “una pace autentica che non significhi la capitolazione dell’Ucraina”: “Putin non vuole la pace e non è pronto a negoziarla”, dice, pur assicurando di non aver “mai escluso di parlare con lui”.

Intanto però l’esercito della Federazione continua a guadagnare terreno in Donbass, specialmente nel Donetsk, controlla già circa il 20% del territorio ucraino e si appresta anche a riprendersi il Kursk occupato, con 50mila uomini pronti ad attaccare le truppe di Kiev presenti in territorio russo. Ormai sembra essersene reso conto perfino Volodymyr Zelensky che, dopo aver vietato per legge ogni trattativa con la Russia fino a quando al Cremlino comanderà Vladimir Putin, adesso auspica la fine del conflitto entro il 2025, ribadendo comunque che questo sarà possibile solo se il sostegno degli alleati andrà avanti, per evitare che le truppe russe sfondino definitivamente. Lo ha detto lui stesso: “La situazione sul campo è davvero difficile” e con una “lenta ma inesorabile pressione dei russi” le truppe ucraine che combattono in prima linea sono stanche. Sono quindi possibili dei riposizionamenti, dei “passi indietro“.

La contrarietà mostrata dopo il colloquio tra il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e Putin, quindi, sembra più una presa di posizione di principio che frutto di una reale convinzione: la pace, se la si vuole davvero, va fatta con il nemico. E il nemico, oggi, si chiama Vladimir Putin. Lo pensa anche Trudeau che ha accolto positivamente la mossa diplomatica di Scholz: “Tutti noi comprendiamo quanto sia importante vedere la fine della violenza in Ucraina, vedere la fine dei conflitti in tutto il mondo – ha detto in Perù, dove stava partecipando al vertice della cooperazione economica Asia-Pacifico – Ciò richiede un livello di coinvolgimento con le controparti con cui in molti casi non siamo d’accordo”. Trudeau ha però subito specificato che il Canada e i suoi alleati sono in stretta collaborazione con Zelensky. “È positivo che ci siano conversazioni in merito, ma il livello di fiducia che ho per Vladimir Putin è probabilmente al minimo storico in questo momento”.

Chi ancora non sembra essersi reso conto dell’evidenza rivelata dal premier canadese sono le istituzioni europee. La crisi politica che si sta consumando a Bruxelles non aiuta l’Ue a prendere decisioni ponderate, ma paradossalmente potrebbe anche rappresentare un’opportunità. Se la nuova commissione von der Leyen dovesse subire un rimpasto prima di nascere, che potrebbe coinvolgere anche la presidente della Commissione, si creerebbero i presupposti per compiere un passo indietro nel programma di sostegno incondizionato a Kiev, una strategia che, alla luce degli avvenimenti, è risultata miope e fallimentare. Ma non imprevedibile: già un anno fa diversi funzionari dell’Ue avevano raccontato a Ilfattoquotidiano.it della preoccupazione che affliggeva la Bubble brussellese sul possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca che già allora prometteva “stop assegni in bianco all’Ucraina“. Nonostante ciò, si è deciso di rimanere fermi sulle posizioni più intransigenti nei confronti della Russia e usarle come punto fermo della campagna elettorale di Ursula von der Leyen e del Ppe. Adesso, però, si deve fare i conti con la realtà. La realtà che solo Trudeau ha avuto il coraggio di svelare: rimpiazzare gli Stati Uniti nel sostegno a Kiev è impossibile.

X: @GianniRosini

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