È trascorso un anno dalla tragica morte di Giulia Cecchettin, un femminicidio che ha scosso profondamente l’opinione pubblica, innescando una rabbia collettiva e una forte richiesta di cambiamento sociale, soprattutto sul piano culturale. Tuttavia, da allora, la violenza maschile sulle donne non ha accennato a fermarsi e altre 96 donne sono state uccise da uomini.
Poche settimane fa, a Piacenza, Aurora, di appena 13 anni, è morta precipitando dal terrazzo di un palazzo. Secondo le accuse, la giovane sarebbe stata spinta dal suo fidanzato, un ragazzo di 15 anni, già noto per comportamenti violenti. Questo episodio segna l’ennesima tragica testimonianza di una violenza che coinvolge sempre di più anche i giovanissimi, sia come vittime che come carnefici.
Il 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, si attende poi la sentenza sul caso di Giulia Tramontano, uccisa insieme al figlio che portava in grembo, Thiago. Questo processo, che ha attirato l’attenzione dei media, è emblematico della necessità di una riflessione collettiva su come affrontare il fenomeno criminale e strutturale della violenza sulle donne, che non è solo una questione femminile, ma che riguarda l’intera società, e che necessita di una risposta che coinvolga tutti i contesti -familiare, scolastico, lavorativo e sociale – affinché diventi un impegno costante e collettivo in termini di prevenzione e azioni concrete.
Oltre al drammatico aumento dei femminicidi, si registra anche una crescita preoccupante degli episodi di violenza sessuale, spesso perpetrata anche tra minorenni. A ciò si aggiunge, nel 2024, un incremento altrettanto allarmante dei crimini online, come l’estorsione sessuale (circa 1.200 casi), il revenge porn e lo stalking, fenomeni che contribuiscono a una cultura della violenza diffusa in tutti gli ambiti della vita quotidiana.
Nonostante il lavoro instancabile delle associazioni antiviolenza, molte donne continuano a non denunciare, per paura di non essere credute o di perdere i propri figli. E, mentre la società civile chiede a gran voce interventi concreti, il governo Meloni non ha ancora adottato misure sufficienti ed efficaci per contrastare la violenza di genere, che non è soltanto fisica, ma anche verbale, psicologica, economica, digitale.
È giunto il momento di un cambiamento profondo, che parta dall’educazione e dalla prevenzione e che coinvolga innanzitutto gli uomini. Non si deve parlare di misure che limitano la libertà delle donne, come se fosse loro responsabilità evitare l’aggressione. Non dobbiamo insegnare alle donne a difendersi, ma impedire agli uomini di agire in modo violento. L’Italia, purtroppo, è ancora uno dei pochi Paesi dell’Unione Europea dove l’educazione affettiva e sessuale non è obbligatoria nelle scuole.
In commissione Cultura giace da tempo una mia proposta di legge per l’introduzione di percorsi di educazione affettiva e sessuale nelle scuole, fin dalle prime classi, per garantire che le future generazioni crescano con una visione di rispetto reciproco e capacità di gestire le emozioni e di costruire relazioni sane.
Le vittime di violenza poi non vanno abbandonate ma sostenute anche economicamente, perché l’indipendenza economica è una via per la libertà, perciò ho depositato alla Camera altre due proposte di legge: una per l’inserimento delle donne vittime di violenza nelle categorie protette al fine del collocamento obbligatorio al lavoro e un’altra per l’estensione della durata del congedo per le vittime. Necessario poi introdurre il salario minimo, riformare il sistema degli affidi dei minori, modificare la legge n. 54 del 2006 in tema di bigenitorialità “a tutti i costi” e favorire la parità di genere in tutti gli ambiti.
Affrontare la violenza contro le donne significa agire su più livelli. Un intervento legislativo isolato non basta. È necessario un approccio che coinvolga più ambiti: dal piano penale a quello culturale ed economico. Ma dal nostro governo tutto tace e intanto, ogni tre giorni, una nuova vittima si aggiunge e quel “mai più” urlato nelle piazze dopo la morte di Giulia Cecchettin, restando una promessa non mantenuta.