Escursioni su slitte trainate da cani siberiani oppure da cavalli; Kinder Park con tappeti elastici, altalene e gonfiabili fino a 3.000 metri di neve; discese a valle con rafting, hydro-speed, canyoning, gommoni (snow tubing), circuiti per provare la guida sportiva di auto impegnate su neve e ghiaccio, discese parapendio e nuove ciclovie pensate per le bici elettriche (per le quali vengono impiegati miniescavatori che distruggono pietra, muschi, terra e radici).

La montagna, insomma, è oggi più che mai divisa tra chi la vorrebbe come un parco divertimenti senza regole – da sfruttare anche e soprattutto per costruire comprensori e impianti sciistici fuori tempo massimo – e il tentativo di trovare nuovi modi per riabitare questi luoghi. A raccontare questo preoccupante bivio è il libro inchiesta del giornalista Michele Sasso, Montagne Immaginarie (Edizioni Ambiente). Che parte da una tesi chiara: “Schiacciate dal peso del riscaldamento globale, dell’urbanizzazione e del turismo intensivo, la montagna come l’abbiamo conosciuta non esiste più”. Oggi ci troviamo sempre più spesso di fronte a montagne marroni e spoglie, cannoni spenti, umidità e insetti, cime bruciate da caldo e siccità.

Temperature su anche di tre o più gradi

D’altronde, il riscaldamento globale sulle Alpi procede a velocità quasi doppia rispetto alla media globale. Negli ultimi vent’anni già si sono estinti 180 ghiacciai grandi e piccoli sulle Alpi. Nei prossimi 20 anni, ricorda l’autore, assisteremo alla probabile scomparsa di tutti i ghiacciai sotto i 3500 metri.

I dati parlano chiaro: su 225 comuni montani italiani dotati di comprensori sciistici, in 141 le temperature medie in 60 anni si sono alzate di oltre 2 gradi e sono 22 quelli che dal 1961 al 2018 hanno subito un aumento della temperatura di 3 o più gradi. Ogni grado centigrado di aumento prevede lo spostamento del paesaggio di 150 metri verso l’alto.

Negli ultimi anni non si contano le cancellazioni delle gare sciistiche a cause dell’assenza di neve (o di troppa neve e vento, come nel 2024) mentre le condizioni delle piste sono inadeguate e rischiose. E gli incidenti in montagna stanno aumentando, così come gli eventi di instabilità ad alta quota, come le colate detritiche, seguite da frane e crolli.

Piste da sci come rotoli di carta igienica tra pendii brulli

Nonostante questi dati, e nonostante ormai manchi il freddo, le ruspe continuano a lavorare su montagne e ghiacciai, per consentire ogni stagione l’apertura del circo bianco. Non solo le Olimpiadi Milano-Cortina, per le quali sono in “costruzione bacini idrici artificiali che avranno conseguenze devastanti per la gestione delle acque, una lunga lista di superstrade, rotonde e bretelle, e soprattutto centinaia di milioni per cattedrali nel deserto come la pista da bob di Cortina (costata oltre 100 milioni di euro)”: in generale, si costruiscono ovunque seggiovie sopra vallate verdi, piste da sci “come rotoli bianchi di carta igienica corrono tra i pendii brulli”. D’altronde l’Italia, scrive Legambiente nel Report Neve Diversa 2024, detiene il record di neve sparata: il 90% delle piste è dotato di impianti di innevamento artificiale, contro il 70% di Austria, il 54% della Svizzera e il 39% della Francia.

Impressionante anche il numero di bacini artificiali spuntati nel paesaggio montano: ben 141 sulle Alpi, altri 17 sugli Appennini e molti altri sono in progetto. Il Trentino-Alto Adige detiene il primato con 60 invasi.

Soldi agli impianti? Accanimento terapeutico

D’altronde il valore dell’economia italiana della montagna, spiega Sasso, con 805,6 miliardi di euro supera la Spagna e raddoppia quasi la Francia, con una percentuale sul Pil turistico nazionale del 12%. La domanda di “fiocchi artificiali” è destinata a crescere tra il 50 e il 100% e così si continua a spingere sul turismo bianco: oltre al Dolomiti Superski, 450 impianti di risalita per 1.200 chilometri di piste nelle Dolomiti, si progettano altri 1.300 km di percorsi tra Cortina, Arabba, Alleghe, Comelico e Val Badia e ben 500 impianti di risalita, mentre il Comune di Cesana Torinese in Alta Val Susa vuole progettare uno Ski Dome lungo 870 metri, un tunnel che si ispira al modello Dubai. Il ministero del Turismo guidato da Daniela Santanchè ha stanziato per il biennio 2023/24 ben 378 milioni di euro per l’ammodernamento degli impianti di risalita e di innevamento artificiale. Per quasi tutti, nota l’autore, è solo una forma di “accanimento terapeutico”.

Resta però un problema macroscopico: captare milioni di metri cubi di acqua per innevare migliaia di chilometri di piste rischia di far restare a secco il resto della montagna. Per non parlare dell’energia necessaria (solo in Italia 721 gigawatt). Ma soprattutto, se da sei decenni le precipitazioni crollano fino al 60% e l’aria è in media tra 2 e 3 gradi più calda, con punte che sfiorano i 4, nessuna neve artificiale potrà tra poco reggere.

La “restanza”: abitare i paesi oltre il turismo

In montagna, tra i 600 e i 2000 metri, vivono 13 milioni di abitanti, il 22,5% della popolazione (che abitano il 51,7% dei comuni e il 59,8% della superficie), spesso lontani da scuole, ospedali, trasporti, non sempre luoghi belli o attrattivi, spesso costruiti sulla dipendenza dall’auto.

Il futuro potrà esistere se fatto di nuovi servizi e magari di una nuova forma di ripopolazione, che può venire, secondo l’autore, dai nuovi nomadi “metromontani”, che potranno riabitare per alcune parti dell’anno i luoghi senza guardare esclusivamente al turismo, ma creando nuovi servizi anche dove il mercato ritiene che non ne valga la pena. Non saranno i fondi del Pnrr a salvare le montagne, anche perché dirottati a pioggia solo su pochi Comuni, né, almeno non solo, i fondi per rivalutare i borghi, dalle Alpi alle Isole. L’autore definisce questo modo alternativo e nuovo di essere “restanza”, qualcosa che costruisca una durata, un tempo nuovo, che “recuperi la ciclicità delle campagne, ma anche delle commemorazioni religiose, delle sagre e delle processioni, un tempo che si muove in avanti ma ruota su sé stesso”, che esiga abitabilità ma anche bellezza. E in questo senso le storie di “restanza” si moltiplicano e il libro ne racconta alcune. Come quella di Arquata del Tronto (Ascoli Piceno) che rinasce dopo il terremoto promuovendo la montagna, oppure “Casa Appennino”, a Scandriglia (Rieti), una residenza interdisciplinare con workshop, mostre, trekking, yoga che coinvolge anche i residenti. O ancora il caso di Ostana (Cuneo), un piccolo borgo rinato grazie alla caparbietà dei suoi cittadini di vedere un futuro diverso dal turismo ad ogni costo. Insomma, “non ci sono soluzioni univoche, ci sono solo tentativi di intercettare i grandi cambiamenti che abbiamo davanti ai nostri occhi e portare una visione nuova delle aree interne e più in generale del contesto alpino e appenninico”.

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