L’Abkhazia, una regione separatista della Georgia de facto indipendente dal 1993, è teatro di una serie di proteste popolari nella capitale Sukhumi che stanno destabilizzando l’esecutivo locale e che rischiano di indebolire le posizioni di Mosca in questa strategica parte del Caucaso. La Russia esercita, da decenni, una sorta di protettorato sulla confinante Abkhazia, separatasi da Tbilisi dopo un sanguinoso conflitto armato svoltosi nei primi anni Novanta e facente parte a pieno titolo della sfera d’influenza del Cremlino nello spazio post-sovietico. I dimostranti hanno, però, preso di mira un accordo di investimento che, secondo i critici, avrebbe consentito ai cittadini russi più abbienti e alle aziende più ricche di acquistare proprietà nella splendida regione del Mar Nero estromettendo i cittadini del posto. L’Abkhazia è, infatti, una prestigiosa meta di villeggiatura marittima sin dai tempi dell’Unione Sovietica.

L’obiettivo delle proteste si è presto allargato e i dimostranti hanno preso d’assalto il Parlamento ed il complesso presidenziale, occupandoli e pretendendo le dimissioni del Capo di Stato Aslan Bzhania. Quest’ultimo, al potere dal 2020, aveva reso noto in un primo momento di non avere alcuna intenzione di dimettersi o fuggire e aveva affermato che erano in corso trattative con le opposizioni. L’amministrazione presidenziale aveva chiarito che le autorità erano pronte a ritirare l’accordo di investimento ma, in un secondo momento, Bzhania ha accettato di dimettersi e di convocare nuove elezioni se i dimostranti avessero abbandonato il Parlamento.

Negli ultimi sedici anni sono stati costretti alle dimissioni ben tre Presidenti dell’Abkhazia, ma la Russia, che ha riconosciuto l’indipendenza della regione nel 2008 come ritorsione contro la Georgia, è sempre riuscita a mantenere buoni rapporti con l’élite politica locale. Il quadro è, però, segnato dall’instabilità e da problematiche come le accuse di corruzione e di manipolazione dei risultati elettorali che hanno fatto infuriare la popolazione locale in più occasioni e l’hanno spinta a scendere in strada per protestare contro il leader di turno. L’organizzazione non governativa Freedom House, che monitora il rispetto dei diritti civili e politici nel mondo con un rapporto annuale, evidenzia che l’Abkhazia è un territorio parzialmente libero, dipendente economicamente dalla Russia che mantiene una presenza militare nella regione e che è tra i pochi Stati al mondo a riconoscerla come indipendente. Sono presenti numerosi partiti politici e gruppi della società civile molto attivi e non è raro che le personalità al potere vengano sconfitte alle urne. I media sono dominati dall’azienda pubblica legata al governo e nel dicembre 2023 il ministero degli Esteri ha introdotto significative restrizioni nei confronti del giornalismo indipendente. I leader locali esercitano una certa autonomia ma non possono discostarsi eccessivamente dalle preferenze di Mosca, che sino al recente passato contribuiva alla formazione di larga parte del Prodotto interno lordo locale.

L’Abkhazia vive in una sorta di limbo dove sono garantite maggiori libertà rispetto a quelle presenti in Russia, dove la società civile è combattiva ma, al tempo stesso, dove ogni cambiamento veramente rivoluzionario è inibito dal vigile occhio di Mosca e dalla congiuntura internazionale. La regione confina con la Russia a nord e per la restante parte del territorio con la Georgia, con cui i rapporti soni pessimi e che non ha mai riconosciuto l’autodeterminazione di questo territorio. I costanti tumulti politici e la maggiore apertura del quadro locale sono, però, un’incognita per Mosca perché il continuo rimescolamento di carte non consente di poter contare su un partner veramente affidabile e perché non è escluso che alla fine possa emergere un leader che pretenda maggiore indipendenza dal Cremlino. La Russia non può permettersi l’apertura di in un nuovo fronte di crisi visto il massiccio coinvolgimento in Ucraina e questo dato potrebbe spingere l’Occidente ad accrescere i propri interessi in loco, sperando in un cambiamento anche parziale delle carte in tavola per mettere in difficoltà Mosca.

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