“Il profano non può percepire quello che succede dentro il giocatore: aggiustamenti minuscoli, incessanti, e un senso degli effetti di ogni singolo cambiamento che si acuisce al progressivo allontanarsi dalla normale consapevolezza”. Leggendo questo assunto di David Foster Wallace mi si materializza davanti, sempre più, l’immagine di Jannik Sinner. Il compianto scrittore, americano come Taylor Fritz, l’ultimo avversario disarmato dalla solidità di Sinner, esprimeva questo concetto in un saggio dal titolo Il tennis come esperienza religiosa.
Qualcosa di religioso c’è anche nel modo in cui seguiamo, tifiamo, commentiamo la parabola del tennista italiano più forte di sempre. Lo è già a 23 anni e ad ogni partita chiama a raccolta il popolo del tennis. Storicamente al vincitore delle Atp Finals si riserva il titolo di “Maestro”; restando in tema sacro potremmo parlare di profeta, ma senza sfociare nel sacrilego io preferisco definirlo idolo. Gli idoli sono oggetto di ammirazione e Sinner riesce ad esserlo dentro e fuori dal campo, come giocatore e come uomo, avendo assorbito questo nuovo status, progressivamente, con naturalezza, senza contraccolpi. L’ultraesposizione mediatica, la curiosità su ogni suo passo e la lente d’ingrandimento che lo inquadra h24 avrebbero incenerito chiunque non fosse già pronto mentalmente ad essere questo.
Sinner forse non era un predestinato, ma è proiettato da anni ad essere il numero 1 e la prossima sfida, già in atto, è restarci aggiungendo gli Slam mancanti.
“Aggiustamenti minuscoli, incessanti”, scriveva Foster Wallace e ripetono come un mantra i componenti dello staff tecnico del campione ad ogni intervista e ad ogni domanda retorica su come si arriva sul tetto del mondo. Profani lo siamo tutti perché è solo il campione a comprendere e avere consapevolezza di cosa gli accade, ad ogni punto, ad ogni partita, dopo aver alzato l’ennesimo trofeo. Siamo ebbri e insaziabili noi tifosi che, dopo decenni in cui, al massimo, ci era concesso di soffrire per non gioire, oggi viviamo lo strapotere tennistico del nostro campione e ci permettiamo pure di divagare, inventandoci esperti per individuare i punti “deboli” su cui Sinner potrebbe ancora lavorare.
Per noi oggi il tennis è solo gioia ma per Sinner è anche lavoro, fatica, metodo, famiglia, ambizione e umiltà allo stesso tempo. Il nome Jannik è una variante di Giovanni e vuol dire “dono del Signore”: per tenerci stretto questo dono, affinché il suo tennis vissuto come esperienza religiosa continui il più a lungo, dobbiamo tifare anche se l’idolo dovesse appannarsi e, talvolta, anche pregare!