“La principale causa della nostra infelicità è la solitudine. Ci sentiamo soli e incompresi e questo genera sofferenza: ma le piante ci ricordano che non siamo soli, che possiamo entrare in contatto con tante parti del vivente”. Alessandra Viola, divulgatrice scientifica, scrittrice, autrice tv e docente universitaria, un dottorato di ricerca in Comunicazione della Scienza e un altro in Scienze Agrarie e ambientali, afferma “di essere stata folgorata dal mondo delle piante, dall’idea che siano intelligenti, senzienti, che ci vedano, che ci ascoltino”. Così, dopo aver scritto Flower Power. Le piante i loro diritti (Einaudi), è appena uscito Chiedi a una pianta. Come semi, alberi e fiori ci insegnano ad essere felici (Laterza). Dove racconta anche alcuni aneddoti personali, come quello di aver ridotto la sua insonnia dormendo…con una mela sul cuscino.

I capitoli del suo libro sono composti da verbi, attraverso cui le piante ci chiedono di fare azioni. Il primo è “respirami”.

Noi crediamo di respirare genericamente l’“aria”. Ma cos’è l’aria? Di fatto è il “fiato” di altri esseri viventi, le piante. Quale scambio più profondo esiste del respirare, appunto, il fiato di altri viventi, di dormire e svegliarsi con loro?

Un altro verbo è “mangiami”. Le piante ci consentono di respirare ma anche di nutrirci.

Mangiare è l’apoteosi dell’unione, hai qualcuno dentro di te, un altro essere vivente che ti trasforma. Qualcuno obietta: ma se le piante sono senzienti e hanno dei diritti, come possiamo mangiarle? E poi ancora: soffrono? Quest’ultimo è un punto davvero difficile da dirimere. Diamo tutti per scontato che non soffrano, ma la scienza oggi a questa domanda semplicemente non sa rispondere e proprio per questo, come stabilisce il Diritto ambientale, dovremmo applicare il principio di precauzione, secondo il quale – nel dubbio se soffrano o no – abbiamo l’obbligo di comportarci in modo da arrecar loro meno danno possibile. È ovvio che dobbiamo mangiarle, che continueremo a usarle, sono indispensabili per la nostra vita. Ma il ragionamento che va fatto è un altro.

Quale?

Quando pensiamo di realizzare un parcheggio o un’altra qualsiasi opera, per esempio, che comporta l’abbattimento di alberi, dovremmo chiederci: è più importante che un essere vivente continui a vivere o che possiamo parcheggiare le automobili? Non parlo degli immensi benefici che gli alberi hanno su di noi. Mi chiedo: abbiamo il diritto di togliere la vita per asfaltare un pezzo di marciapiede?

Le piante ci chiedono anche protezione. Nel libro, tra l’altro, racconta la sua azione (vincente) per difendere cinque tigli sotto casa.

Ne vado molto fiera, anche se è chiaro che difendere gli alberi non può essere un compito affidato ai singoli cittadini. Tuttavia mi pare che oggi più che mai sia necessario farsi sentire di più. Sempre più associazioni mi chiedono consiglio su come comportarsi e quello che rispondo è di iniziare a fare causa ai Comuni che tagliano per motivi insensati gli alberi, esponendo le persone a problemi potenziali di salute e causando una perdita di valore dei loro immobili. Ci sono estremi per azioni legali contro le amministrazioni pubbliche e contro i tecnici che fanno perizie spesso sbagliate e fraudolente sulla salute degli alberi. A Torino di recente è stata vinta una causa proprio di questo tipo.

Un altro invito presente nel libro è quello a piantare alberi. Su questo fronte, però, non rischiamo talvolta il greenwashing?

In molti comuni più che di greenwashing si tratta di ottemperare agli obblighi assunti, per i quali si piantano micro alberelli che poi vengono abbandonati, si seccano e muoiono. Una pratica insensata e crudele oltre che uno sperpero di fondi pubblici. Nel libro riporto tutto all’epoca in cui a scuola ci insegnavano a fare crescere il fagiolo nell’ovatta. Germogliava, ne eravamo entusiasti, lo misuravamo e osservavamo per un po’, poi finiva nel secchio. Voleva essere una lezione di biologia, invece ci ha insegnato a maltrattare le piante.

Ma secondo lei piantare massicciamente alberi è la risposta alla crisi climatica o abbiamo troppe aspettative da questa azione?

Allo stato attuale, l’unica “macchina” che conosciamo in grado di assorbire efficacemente l’anidride carbonica nell’atmosfera sono le piante. Sicuramente piantare è fondamentale per la mitigazione, come dimostrano molti studi. Piantare alberi presenta anche altri vantaggi: non è un caso se le città super alluvionate sono quelle con maggior consumo di suolo e più bassa manutenzione, dai tombini otturati agli alberi cementati intorno al tronco. Abbiamo bisogno di radici, di alberi e terra che assorbano acqua. E quando cadono gli alberi dovremmo anche chiederci come li abbiamo trattati prima.

In Flower Power, il suo libro precedente, si focalizza sul tema dei diritti delle piante. Un riconoscimento giuridico della natura potrebbe aiutare?

Assolutamente sì, è di gran lunga il modo più efficace per tutelare l’ambiente. In Italia e in generale in Europa siamo rimasti indietro, ma nel mondo si parla già di diritti della natura, dei fiumi, dei laghi… io sono ancora più specifica e sostengo che dovremmo riconoscere i diritti delle piante, proprio come abbiamo fatto con gli animali.

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