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Missili a lungo raggio Usa per colpire il Kursk, l’ultima mossa di Biden per ‘disturbare’ Trump. I dubbi sulla loro efficacia

La decisione di Joe Biden di autorizzare l’utilizzo di missili a lunga gittata Atacms in territorio russo, anche se solo nel Kursk, secondo quanto riporta Axios, ha il potenziale per scatenare il caos internazionale. In quelle che sono le ultime settimane del suo mandato alla Casa Bianca dopo la débâcle elettorale di Kamala Harris, il presidente non si è limitato all’ordinaria amministrazione: prima ha garantito la spesa residua di 6 miliardi di dollari a sostegno dell’Ucraina e infine ha rilasciato questa autorizzazione sugli Atacms, negata fino a oggi per evitare un eccessivo coinvolgimento americano nel conflitto. Mosse esclusivamente politiche, dato che in pochi mesi difficilmente potranno cambiare l’andamento del conflitto e, inoltre, potranno essere rapidamente cancellate dal nuovo inquilino della Casa Bianca, intenzionato a mettere fine al conflitto nel più breve tempo possibile, stando almeno alle sue dichiarazioni. Tanto che anche gli alleati europei hanno mostrato di non voler seguire l’esempio del presidente democratico.

Rischio caos? No, solo manovra politica
In un altro momento, il via libera di Washington avrebbe potuto alzare il livello della tensione con la Russia oltre il livello di guardia. Oggi, invece, ha provocato solo una reazione stizzita di Mosca, intenzionata a capitalizzare il più possibile il proprio vantaggio militare sul campo, avanzando il più possibile in Donbass e, soprattutto, riprendendosi la regione russa occupata del Kursk grazie anche al supporto offerto dalle truppe nordcoreane. Se dovesse essere confermato il permesso americano a Kiev di utilizzare i missili Atacms contro la Russia, ciò significherebbe “un ulteriore aumento delle tensioni”, ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Che poi ha precisato: l’uso di missili Atacms o altri vettori a lungo raggio forniti da Paesi occidentali da parte dell’Ucraina per colpire il territorio russo fa rischiare un coinvolgimento diretto di questi Paesi nel conflitto. Questo perché sarebbero azionati da “specialisti militari” occidentali: “Questi attacchi non sono effettuati dall’Ucraina, ma da quei Paesi che danno il permesso perché il puntamento e la manutenzione non sono effettuati dalle forze ucraine, bensì da specialisti militari dei Paesi occidentali. Questo cambia radicalmente le modalità del loro coinvolgimento nel conflitto”.

Al di là di quello, scatenare uno scontro diretto tra Russia e Stati Uniti o Paesi Nato non conviene nemmeno a Mosca. Tra circa due mesi Trump si insedierà nello Studio Ovale e l’atteggiamento di Washington è destinato a cambiare. Lo testimoniano, ad esempio, le parole con le quali Trump Jr ha commentato l’annuncio dell’amministrazione Dem: “Sembra che il complesso militare-industriale voglia assicurarsi di far scoppiare la terza guerra mondiale prima che mio padre abbia la possibilità di creare la pace e salvare vite – ha detto – Bisogna bloccare quei trilioni di dollari”.

Dalla Cina agli alleati: nessuno vuole il picco della tensione
Anche le dichiarazioni delle cancellerie europee, fino a oggi fedeli alla ‘linea Biden’ sull’Ucraina, hanno deciso di non seguire il presidente in questo nuovo passo in direzione dello scontro diretto, quasi ad adattarsi già alla strategia americana per i prossimi quattro anni. Il portavoce del cancelliere tedesco, Olaf Scholz, ad esempio, ha precisato che “il governo tedesco era informato della decisione di Washington di consentire all’Ucraina di utilizzare missili ad ampio raggio contro la Russia. E no, questo non modifica la posizione del governo tedesco sulla consegna dei Taurus” che Berlino ha più volte escluso. Anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha precisato che la posizione italiana rimane immutata: “La nostra posizione sull’uso delle armi da parte dell’Ucraina non cambia, si possono usare solo all’interno del territorio ucraino – ha detto a margine del Consiglio Affari Esteri – Siamo favorevoli a una Conferenza di pace con la presenza dei russi, dei cinesi, degli indiani e dei brasiliani e mi auguro che Pechino possa svolgere un ruolo positivo per far comprendere a Mosca che bisogna smetterla con questa guerra insensata. Certo, la presenza di militari nordcoreani non è un bel segnale”.

Proprio la Cina, il più importante sponsor della Russia sul dossier ucraino, torna a invocare pubblicamente il ricorso alla via diplomatica per risolvere il conflitto. “La cosa più urgente è promuovere il raffreddamento della situazione il prima possibile”, ha commentato il portavoce del Ministero degli Esteri, Lin Jian. Parlando nel corso del briefing quotidiano, ha poi affermato che la soluzione guida è quella “di un cessate il fuoco tempestivo e di una soluzione politica” che “servono gli interessi di tutte le parti”. Una posizione, questa, ormai chiara a tutti, persino a Volodymyr Zelensky che nei giorni scorsi ha chiesto che si faccia “di tutto per porre fine alla guerra nel 2025 attraverso la via diplomatica”. Il primo ministro canadese, Justin Trudeau, domenica sera ha inoltre dichiarato pubblicamente ciò che tutti, da Bruxelles a Kiev, sanno già da anni: “Tutti gli alleati del mondo non potrebbero sostituire un ritiro completo del sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina”. E viste le posizioni di Trump, la naturale conclusione è che tutte le parti puntino sulla strategia diplomatica, non certo quella della guerra in territorio russo con armi americane.

L’ultimo disperato tentativo di Biden?
Come va quindi interpretata la mossa di Joe Biden a due mesi dal suo pensionamento? Innanzitutto come un ritorno alle proprie convinzioni, dato che la spinta in favore di Kiev si era affievolita un po’ per l’ostruzionismo repubblicano al Congresso e un po’ per esigenze elettorali. Nella sua decisione, però, si può leggere anche l’estremo tentativo di soddisfare le richieste di Zelensky e di mettere in difficoltà fin da subito Trump nel suo rapporto con Putin. L’idea è quella di permettere all’esercito di Kiev di utilizzare armi a lungo raggio nel Kursk per evitarne la riconquista da parte dell’esercito di Mosca e, quindi, portare la posizione del governatorato della Federazione su un ipotetico tavolo delle trattative. Un piano, se confermato, che però presenta diversi dubbi. Innanzitutto Putin non ha la stessa fretta degli alleati di Kiev di mettere fine a questa guerra e potrebbe prolungarla fino alla riconquista della regione, sfruttando il mancato supporto di Trump all’Ucraina. La seconda è che i missili a lungo raggio, a fronte di un impiego di circa 50mila soldati russi e nordcoreani, difficilmente riusciranno a invertire le sorti di una riconquista che appare inevitabile. Anche perché, tra due mesi, a Washington ci sarà un nuovo presidente e i permessi rilasciati potrebbero essere presto ritirati.

X: @GianniRosini