Con Zielony, i volumi diventano arte che dialoga con il degrado. E Lia Rumma, portatrice di una straordinaria storia familiare, continua nel solco del giovane fotografo tedesco
Utopista e brutalista, ruvido e poetico: con Thomas Zielony, atto secondo, i volumi sovrapposti, inscatolati, stratificati diventano arte. Che dialoga con il degrado umano. Dopo la mostra “Il resto di niente” curata dalla direttrice del Madre Eva Fabbris con Giovanna Manzotti, da un’idea di Sabato De Sarno, direttore artistico di Gucci, Lia Rumma continua nel solco creato dal giovane e talentoso Zielony, il fotografo tedesco riconosciuto internazionalmente per i suoi scatti con adolescenti, prostitute e rifugiati, gli outsiders ai margini della società.
Rimase folgorato dal film Gomorra e andò a fotografare le Vele di Scampia, la decadenza umana infilata nel tessuto architettonico delle periferie, offrendo, però, una nuova prospettiva di rigenerazione urbana. Adesso Thomas punta l’obiettivo su Piazza Grande ai Ponti Rossi, sulla Casa del Portuale e su altre opere iconiche di Aldo Loris Rossi, noto urbanista degli anni ’70.
Dalla rubrica cult Overshoot, trasmessa in quegli anni da Radio Radicale, Lia Rumma, elegante in colbacco nero, la zarina dell’arte contemporanea, prende in prestito il nome della mostra. Gli scatti seguono un fil rouge in verticale, una scenografia di luci sul ruvido cemento: hanno una potenza evocativa e sono appesi sulla pareti minimal/chic dei più grandi collezionisti.
Ma quella di Lia è anche una storia di famiglia straordinaria che è diventata un libro e un docufilm. Sei sorelle, quattro fratelli, una squadra dove la creatività è scritta nel dna: Ofelia, Cordelia, Mariapia, ideatrice del museo Plart, dedicato alla plastica riciclata. Sergio De Lizza, il figlio di Ofelia, fa l’odontoiatra, ma di indole artistica anche lui. Che bella famiglia allargata. Mi corregge: “Noi siamo una larga famiglia tradizionale, non allargata come si intende oggi”. Il fratello più grande, Enzo, il professore, ha 97 anni e ancora tiene studio. Poi c’è Massimo, lo scrittore, che alla famiglia ha dedicato un libro memoir: “Come le nuvole”.
Oggi non esistono più le famiglie di una volta che coltivano rispetto, condivisione, buone norme. Ognuno di loro è nato in una città diversa perché il padre faceva l’Ispettore Scolastico, una sorta di ministro dell’Istruzione ante-litteram, che come hobby scriveva dizionari di latino e greco, e ai figli come fiabe raccontava l’Iliade e l’Odissea. Papà Ferruccio severo, mamma Maria dolce come un bignè, decisero di trasferirsi a Salerno. E qui la Famiglia mise radici. Ai figli le ali per volare ma anche per ritornare al Nido.
Per Ofelia, tre lauree, filosofia, pedagogia e giurisprudenza, all’età della pensione, dopo 40 anni di insegnamento, è cominciata la sua Terza Giovinezza, vive a Sorrento dove dipinge, fa sculture, disegna gioielli e canta. Marito musicologo, mentre la figlia Gaia De Lizza disegna una collezione di ballerine artigianali (Ballerì) ispirate alle tradizionali scarpette che si usavano per ballare la tarantella sorrentina. Il bisononno, il maestro Antonino Ciro de Lizza, musicava tarantelle e barcarole come “Vieni al mar”… E con “Anema e Core” il loro “Lessico familiare” continua…