di Rosamaria Fumarola
Tempo fa, quando la destra iniziò la sua campagna contro il reddito di cittadinanza, credevo che tutti coloro che percepivano la misura di sostegno alla povertà non avrebbero consentito ad una manciata di politici di mettere in discussione il peso della propria umana dignità e che sarebbero scesi in piazza per difendere il solo strumento di riscatto che la politica era stata in grado di porre in essere.
Come prevedibile, l’annuncio di un imminente smantellamento del reddito, dal rango di promessa, divenne fatto concreto e ad onta di ogni mia previsione, le proteste dei percettori della misura non ci furono. Aspettarsi che fossero le parti politiche ad evitare il peggio era da ingenui. Astrattamente ragionevole era invece aspettarsi le proteste di chi di quel sostegno economico si era giovato ed invece no. Certo, qualcuno scese in piazza ma non ci furono i cortei, i sit in o addirittura gli scontri che quando, oggetto della contesa è “la roba”, in genere si verificano.
Il problema della povertà ha però componenti di matrice non solo economica, ma anche culturale. È proprio questa dimensione, da sempre sfruttata dal potere, ad impedire un’adeguata difesa dei propri diritti. Se non so infatti di avere diritti come posso difenderli? Se au contraire, mi si convince che la mia indigenza non è che una mia colpa, vivrò questa condizione come motivo di vergogna e non farò nulla per brandirla contro la politica al fine di trovare gli strumenti per superarla. Fa il paio con le proteste, che pure sarebbero legittime, delle prostitute, ma che invece non ci sono mai.
Nessuna organizzazione politica peraltro, si pone oggi come obiettivo la difesa degli indigenti, che passa evidentemente per la presa di coscienza culturale a cui sopra facevo cenno.
È di pochi giorni fa la conferma della concessione che il governo Meloni fa di 500 euro una tantum, a tutti coloro il cui Isee non superano i 15000 euro a patto che non si tratti di individui singoli, anche se anziani, ma di nuclei familiari di almeno tre persone. Si è dunque sostituito un reddito (fondamentale per la costruzione di quella dignità indispensabile a percepire il sé come valore e non come oggetto nelle mani di altri) con una mancia. Una mancia è bastata per acquistare vita umana, manodopera a basso costo e per assicurarsi una guerra tra poveri tanto cara alle destre di ogni tempo. Chiamarla “Dedicata a te” è un modo come un altro per arruffianarsi la simpatia di chi la riceve, che appunto penserà: “Non è molto, ma in fondo qualcosa è”. È infatti esattamente quanto basta a farti sentire animale nato per servire, perché un essere umano ha bisogno di altro per sentirsi tale, ad esempio ha bisogno che sia rispettata la propria dignità e favorita la sua libertà di scegliere quale posto occupare nella società e magari che gli vengano forniti i mezzi a ché ciò accada. Il reddito di cittadinanza era un passo virtuoso in questa direzione.
Misure analoghe in tanti altri paesi non hanno prodotto reali danni all’economia o favorito un perverso quanto inutile assistenzialismo. Al contrario hanno dimostrato che la civiltà passa oggi inevitabilmente da questo tipo di strumenti, sia pure declinati in modi differenti e che osteggiarli è una battaglia che si fa contro appunto la civiltà. Ma forse mi sbaglio e la civiltà non è un obiettivo per politici a vocazione autoritaria (e non solo) che pubblicamente negano la propria ammirazione per il Ventennio, ma che in casa custodiscono gelosamente il busto del Duce.