Nel giorno della presentazione alla Camera della Fondazione Giulia Cecchettin, proprio mentre il papà Gino invocava l’impegno di tutti perché “la violenza di genere è un fallimento collettivo“, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha deciso di inviare un video-messaggio registrato che accusa “l’immigrazione illegale” tra le cause della violenza sessuale. E non solo: ha sminuito la “lotta al patriarcato” come soluzione alla violenza strutturale contro le donne perché, ha detto, lotta “ideologica” e che “non porta soluzioni”. L’intervento è stato mandato in onda durante la presentazione a Montecitorio della Fondazione dedicata alla ragazza uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta un anno fa. E le parole del padre della giovane, concentrate sullla necessità di “unire le forze”, hanno mostrato una totale discrepanza di toni e intenti rispetto a quanto detto dal ministro dell’Istruzione.
“Diciamo che ci sono dei valori condivisi e altri sui quali dovremo confrontarci”, ha replicato a margine Gino Cecchettin. Più netta la reazione della sorella Elena che, da sempre, ha parlato con chiarezza della necessità di un cambio radicale di paradigma: “Dico solo che forse”, ha scritto su Instagram, “se invece di fare propaganda alla presentazione della fondazione che porta il nome di una ragazza uccisa da un ragazzo bianco, italiano e ‘per bene’, si ascoltasse non continuerebbero a morire centinaia donne nel nostro Paese ogni anno”. A protestare contro il ministro anche il Partito democratico: “Imbarazzante”, ha detto Laura Boldrini. “Parla come la peggiore destra mondiale”, è stato l’intervento della capogruppo Chiara Braga. “Non resta che commiserarlo”, ha rilanciato Gianni Cuperlo. “Delirante e inopportuno”, ha detto la 5 stelle Vittoria Baldino. Valditara di fronte alle contestazioni non ha fatto passi indietro e anzi se l’è presa con le opposizioni: “Non si capisce perché la sinistra la butti sempre in rissa e non sappia ragionare in termini pacati”, ha detto. “Mi viene il dubbio che vogliano solo condurre altre battaglie”.
Le parole di Valditara – Giulia Cecchettin è stata uccisa un anno fa e da allora tante sono state le manifestazioni e iniziative rivolte alla necessità di sensibilizzare le coscienze per un cambiamento strutturale della società italiana. Per questo è nata la Fondazione in suo nome e per questo si concentrerà sull’educazione all’affettività nelle scuole. Un progetto che, stando alle promesse, sarebbe dovuto partire dal ministero e che invece viene lasciato all’iniziativa di singole realtà. Valditara, prendendo la parola proprio alla presentazione dei progetti per Giulia Cecchettin, ha deciso di non entrare nello specifico delle mancanze o ritardi del ministero, ma di parlare genericamente del fenomeno. A far discutere innanzitutto, la scelta di evocare l’immigrazione illegale, mentre si ricorda il femminicidio commesso da un ragazzo italiano. “Deve essere chiara a ogni nuovo venuto”, ha dichiarato, “a tutti coloro che vogliono vivere con noi, la portata della nostra Costituzione, che non ammette discriminazioni fondate sul sesso. Occorre non far finta di non vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale“.
Ma non solo. Valditara ha anche detto apertamente che la lotta al patriarcato non sarebbe, secondo lui, la strada per debellare la violenza di genere: “Abbiamo di fronte due strade: una è concreta e ispirata ai valori costituzionali, l’altra è la cultura ideologica. In genere i percorsi ideologici non mirano mai a risolvere i problemi, ma ad affermare una personale visione del mondo. E la visione ideologica è quella che vorrebbe risolvere la questione femminile lottando contro il patriarcato”. Il ministro ha quindi rivendicato che “il patriarcato come fenomeno giuridico è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha sostituito alla famiglia fondata sulla gerarchia la famiglia fondata sulla eguaglianza”. Quindi ha rilanciato con la teoria a lui molto cara secondo cui in Itaia, piuttosto, “ci sono ancora residui di maschilismo, di machismo, che vanno combattuti e che portano a considerare la donna come un oggetto”. E “il maschilismo si manifesta in tanti modi, con la discriminazione sul posto di lavoro, con il cosiddetto catcalling, con la violenza. Poi c’è il tema del femminicidio, che allarma sempre di più”. È dunque “una battaglia culturale e parte innanzitutto dalla scuola”. Parole simili a quelle pronunciate già un anno fa, senze che però sia mai stato messo in pratica un programma effettivo per l’educazione nelle scuole.
Cecchettin: “L’impegno riguarda tutti” – Di tutt’altro tenore il discorso del papà di Giulia Cecchettin che, come ogni giorno da quando è stata uccisa la figlia, ha invocato percorsi di dialogo e alleanza per poter debellare la violenza di genere. “Non possiamo permetterci di essere indifferenti o voltare lo sguardo altrove”, ha detto. “È il tempo di unire le forze. Quando si affrontano tragedie tali, la vita ti sorprende sempre dandoti scopi nuovo”. La fondazione ha “il compito di educare per produrre un cambiamento. La violenza di genere è frutto di un fallimento collettivo: non è solo una questione privata. Dobbiamo educare le nuove generazioni”. E ancora: “Ho attraversato la morte nella sua essenza più profonda prima con la perdita di mia moglie, poi con quella di Giulia. È iniziato in me un processo all’affermazione del bene che nell’udienza di Filippo ha raggiunto la maturità perché non ho avuto il pensiero di odiarlo. Nel nome di Giulia io posso scegliere di fare crescere l’amore“. La figlia Elena, a distanza, ha scritto su Instagram a sostegno dell’iniziativa portata avanti dal padre: “Un anno fa ho ricevuto la conferma che Giulia non sarebbe tornata a casa. E’ stato un anno difficile, di dolore, di ricordi, di lacrime”, si legge. “Ma soprattutto di lotta. Lotta per lei, che non c’è più. Oggi questa lotta prende anche la forma di un impegno. Un impegno sociale per poter iniziare un processo di cambiamento. E per tentare di impedire che nessun’altra debba ricevere quella chiamata. Che le nostre sorelle rimangano vive”. Oggi, a Roma, ha chiuso, è stata presentata la Fondazione che porta il nome della giovane vittima di femminicidio, un progetto che “nasce soprattutto grazie a mio padre”, Gino Cecchettin, che non ha “mai smesso di lottare con il dolore” e “ad oggi ha fatto tanto. Per tutti“. E di sicuro oggi, presentando la Fondazione alla Camera, l’ultimo dei suoi pensieri sarebbe stato quello di vedere titoli contro la lotta la patriarcato o l’immigrazione.