Mentre Gino Cecchettin alla Camera ha invocato l’impegno di tutti perché “la violenza di genere è un fallimento collettivo“, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha deciso di inviare un videomessaggio dove, tra le varie cose, ha evocato “l’immigrazione illegale” come una delle cause legate “all’incremento dei fenomeni di violenza sessuale”. E non solo: ha sminuito la “lotta al patriarcato” come soluzione contro la violenza strutturale contro le donne perché “ideologica” e che “non porta soluzioni”. L’intervento è stato mandato in onda durante la presentazione a Montecitorio della Fondazione dedicata alla ragazza uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta un anno fa. E le parole del padre della giovane, concentrate sullla necessità di “unire le forze”, hanno mostrato una totale discrepanza di toni e intenti rispetto a quanto detto dal ministro dell’Istruzione.
Le parole di Valditara – Giulia Cecchettin è stata ammazzata un anno fa e da allora tante sono state le manifestazioni e iniziative rivolte alla necessità di sensibilizzare le coscienze per un cambiamento strutturale della società italiana. Per questo è nata la Fondazione in suo nome e sarà concentrata sull’educazione all’affettività nelle scuole. Un progetto che, stando alle promesse, sarebbe dovuto partire dal ministero e che invece viene lasciato all’iniziativa di singole realtà. Valditara, prendendo la parola proprio alla presentazione dei progetti per Giulia Cecchettin, ha deciso di non entrare nello specifico delle mancanze o ritardi del ministero, ma di parlare genericamente del fenomeno. A far discutere innanzitutto, la scelta di evocare l’immigrazione illegale, mentre si ricorda il femminicidio commesso da un ragazzo italiano. “Deve essere chiara a ogni nuovo venuto”, ha dichirato, “a tutti coloro che vogliono vivere con noi, la portata della nostra Costituzione, che non ammette discriminazioni fondate sul sesso. Occorre non far finta di non vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale“. Ma non solo. Valditara ha anche detto apertamente che la lotta al patriarcato non è la strada per debellare la violenza di genere: “La possibilità libera e non discriminata di avere varie opportunità di realizzazione personale e professionale, è un obiettivo fondamentale di chi crede nei valori della dignità di ogni persona. E per perseguirlo abbiamo di fronte due strade: una è concreta e ispirata ai valori costituzionali, l’altra è la cultura ideologica. In genere i percorsi ideologici non mirano mai a risolvere i problemi, ma ad affermare una personale visione del mondo. E la visione ideologica è quella che vorrebbe risolvere la questione femminile lottando contro il patriarcato”. Poi però, Valditara ha anche riconosciuto che qualcosa da fare, seppur “ideologico” secondo lui, sia necessario fare: “Massimo Cacciari ha ovviamente esagerato quando dice che il patriarcato è morto duecento anni fa, ma come fenomeno giuridico è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha sostituito alla famiglia fondata sulla gerarchia la famiglia fondata sulla eguaglianza”. Ma, ha sottolineato Valditara, “nel nostro Paese ci sono ancora residui di maschilismo, di machismo, che vanno combattuti e che portano a considerare la donna come un oggetto”. E “il maschilismo si manifesta in tanti modi, con la discriminazione sul posto di lavoro, con il cosiddetto catcalling, con la violenza. Poi c’è il tema del femminicidio, che allarma sempre di più: se una volta era frutto di una concezione proprietaria della donna, della famiglia, della moglie, oggi sembra più il frutto di un’autorità narcisistica del maschio che non sa sopportare le donne”. È dunque “una battaglia culturale e parte innanzitutto dalla scuola – ha affermato il ministro – , coinvolgendo le famiglie e coltivando relazioni improntate al rispetto verso il ruolo e il lavoro della donna, perché la nostra Costituzione non ammettere discriminazioni fondate sul sesso”.
Cecchettin: “L’impegno riguarda tutti” – Di tutt’altro tenore il discorso del papà di Giulia Cecchettin che, come ogni giorno da quando è stata uccisa la figlia, ha invocato percorsi di dialogo e alleanza per poter debellare la violenza di genere. “Non possiamo permetterci di essere indifferenti o voltare lo sguardo altrove”, ha detto. “È il tempo di unire le forze. Quando si affrontano tragedie tali, la vita ti sorprende sempre dandoti scopi nuovo. E oggi sono qui per parlarvi proprio di questo. Oltre un omaggio a Giulia” quello della fondazione “è un impegno che riguarda il coinvolgimento di ciascuno di noi”. La fondazione ha “il compito di educare per produrre un cambiamento. La violenza di genere è frutto di un fallimento collettivo: non è solo una questione privata. Dobbiamo educare le nuove generazioni”. E ancora: “Siamo qui per dare forma concreta a un sogno nato da una tragedia immane. A volte la vita ti sorprende e ti dà la possibilità di trasformare il dolore in uno scopo, uno scopo che è la fondazione Cecchettin che vuole essere un richiamo collettivo che ci invita a guardare oltre a noi stessi e al futuro delle giovani generazioni. Ho attraversato la morte nella sua essenza più profonda prima con la perdita di mia moglie, poi con quella di Giulia. È iniziato in me un processo all’affermazione del bene che nell’udienza di Filippo ha raggiunto la maturità perché non ho avuto il pensiero di odiarlo. Nel nome di Giulia io posso scegliere di fare crescere l’amore. Oggi ricorre un anno da quando mi hanno comunicato del ritrovamento del corpo di Giulia, scusate l’emozione, ha aggiunto Gino Cecchettin”.