‘Cadere, rialzarsi, cadere, rialzarsi’. S’intitola così l’autobiografia dell’ex portiere della Nazionale e della Juventus Gianluigi Buffon: “C’è qualcosa di masochista, nel portiere. I campi della mia giovinezza erano gli stessi degli anni 70: l’area dura come il cemento. I vecchi portieri li riconosci dalle mani ferite, dai fianchi dolenti, dalle tante volte che sono caduti fino a sanguinare“. Buffon ha ripercorso la sua carriera in una lunga intervista al Corriere della Sera, in cui ha parlato di tutto: dai compagni di squadra alla Nazionale, dalle accuse di fascismo a quelle sulle commesse. Fino alla depressione.
Buffon fa il suo esordio in Nazionale a neanche 15 anni: “Fui convocato con la Under 16 per giocare a Edimburgo, contro la Scozia. Ero in panchina. Si mise a nevicare. Giocai pochi minuti e bloccai un solo pallone, ma me lo portai dietro in un tuffo sulla neve. Alla fine racimolai un po’ di monete per chiamare i miei genitori, a casa, a Carrara. Ma per sbaglio feci il prefisso del Friuli, dove abitava la nonna“. Da bambino Buffon passava lì i suoi inverni: “I primi ricordi sono i campi innevati. Mi piaceva l’idea di questo velo bianco che ridava purezza a tutto. Così mi ci tuffavo dentro. Non sapevo che a tuffarsi nella neve ci si bagna”.
Buffono racconta anche del suo debutto in Serie A in un Parma-Milan, della possibilità di andare all’Atalanta e della scelta di chiudere la carriera a Parma, rifiutando anche il Barcellona. Ma la sua carriera è legata ovviamente alla Juventus, tra tantissime gioie e qualche dolore, come le tre finali di Champions League perse. La prima per Buffon fu nel 2003 contro il Milan di Shevchenko: sconfitta ai rigori. Da quella pesante sconfitta contro i rossoneri, per Buffon iniziò un periodo di depressione, come raccontato nel libro: “Era la fine del 2003, il campionato era cominciato bene, poi cominciammo a perdere colpi e stimoli. Eravamo reduci da due scudetti di fila: dopo l’up, il down. Mi si spalancò davanti il vuoto. Cominciai a dormire male. Mi coricavo e mi prendeva l’ansia, pensando che non avrei chiuso occhio”.
L’attuale capo delegazione della Nazionale ricorda un attacco di panico vissuto in campo: “Sentivo una pressione al petto, non riuscivo a respirare, pensai che non avrei mai voluto essere lì e non avrei mai potuto giocare la partita. Era un Juve-Reggina, in casa. Andai dall’allenatore dei portieri, che era un grande: Ivano Bordon. Lui mi tranquillizzò: ‘Gigi, non devi giocare per forza’. Ripresi fiato. Guardai scaldarsi il secondo portiere, Chimenti, che è un mio carissimo amico. E pensai che ero davanti a una sliding door, a un passaggio decisivo della mia carriera, della mia vita. Mi dissi: Gigi, se tu non entri in campo stavolta, crei un precedente con te stesso. Magari ti succederà una seconda volta, e poi un’altra ancora. E non potrai più giocare. Così entrai in campo. Feci subito una buona parata. Che salvò il risultato, perché poi vincemmo 1-0. Ma il problema rimaneva. Il dottor Agricola fece la diagnosi, poi confermata dalla psicoterapeuta: depressione“.
Buffon svela poi come ne uscì: “Rifiutai i farmaci. Ne avrei avuto bisogno, ma temevo di diventarne dipendente. Dalla psicoterapeuta andai solo tre o quattro volte, ma mi diede un consiglio prezioso: coltivare altri interessi, non focalizzarmi del tutto sul calcio. Fu allora che scoprii la pittura. Andai alla Galleria d’arte moderna di Torino. C’era una mostra di Chagall. Presi l’audioguida. Davanti alla Passeggiata rimasi bloccato per un’ora. È un quadro semplice, raffigura Chagall con la moglie Bella mano nella mano; solo che lei vola. Il giorno dopo, tornai. La cassiera mi disse: guardi Buffon che è la stessa mostra di ieri. Risposi: grazie, lo so, ma voglio rivederla”.
A proposito delle accuse di essere fascista, per la maglietta con la scritta ‘boia chi molla’ e il numero 88: “Non avevo la minima idea che per qualcuno evoca Heil Hitler, per me voleva dire avere quattro palle. E non avevo la minima idea che ‘boia chi molla’ fosse un motto neofascista. Di sicuro non sono fascista, tanto meno razzista. Ho chiamato il mio primogenito Louis Thomas, che ora gioca attaccante nelle giovanili del Pisa, in onore dell’eroe della mia infanzia: Thomas N’Kono“. Sul caso scommesse che lo ha riguardato: “E’ stata la mia debolezza, fino a quando non ho trovato il mio centro. Per qualcuno è un vizio. Per me era adrenalina. Di una cosa sono certo: non ho mai fatto nulla di illegale. Infatti non sono mai stato indagato, non ho mai ricevuto un avviso di garanzia. Perché non ho mai scommesso sulla Juve o sulla Nazionale o sul calcio. Ho sempre e solo scommesso sul basket americano e sul tennis”.
Infine, riguardo agli allenatori avuti in carriera: “Sono stato fortunato. Ho avuto i sergenti: Scala, Capello, Conte. Quelli che scuotono i calciatori. E ho avuto gli psicologi, quelli che li calmano: Ancelotti, Allegri“. Proprio su quest’ultimo Buffon ha svelato un aneddoto: “Abituati a Conte, che ci faceva cazziatoni terribili, Allegri ci parve un angelo. Alla vigilia di una partita, sulla lavagna degli schemi scrisse solo: 3. ‘Siete tre volte più forti degli avversari. Ora andate in campo e vincete'”.