Scuola

Dal caso Raimo alle frecce tricolori, dove finisce il diritto di critica dei docenti? Norme e insidie del nuovo codice di comportamento

A febbraio 2023 un professore di Firenze, in un post pubblico, bestemmia contro la nuova denominazione del suo ministero di riferimento, diventato “della Pubblica istruzione e del merito”, e viene sospeso per 8 giorni. Il 4 novembre scorso una docente scrive “frecce tricolori di merda” sul proprio profilo Facebook dopo aver visto la pattuglia acrobatica sorvolare il cielo di Venezia e si ritrova con un procedimento disciplinare a suo carico. Pochi giorni dopo il docente, attivista e scrittore Christian Raimo viene sospeso per tre mesi per aver criticato – con una metafora ispirata a Star Wars – il ministro Valditara durante una festa di Alleanza Verdi e Sinistra.

Ad accomunare tutti questi episodi l’espressione pubblica di idee politiche da parte di insegnanti. Ma tra social, scuola ed eventi, quali sono effettivamente i limiti degli insegnanti? “I docenti svolgono un servizio pubblico e lo fanno da membri della pubblica amministrazione”, spiega Claudio Moizo, avvocato del lavoro, a ilfattoquotidiano.it. “Ciò fa sì che debbano rispettare non solo i doveri didattici e i principi che regolano qualsiasi rapporto di lavoro, ma anche le norme della PA”. Nello specifico dal 14 luglio 2023 è entrato in vigore il nuovo codice di comportamento dei dipendenti pubblici, di fatto un aggiornamento del precedente. Il docente deve quindi rispettare delle norme che mirano sia a garantire che esegua correttamente il suo lavoro, sia a tutelare la reputazione dell’amministrazione stessa. Con sanzioni che devono però “essere motivate e, soprattutto, proporzionate”. “Nel caso di Raimo, ad esempio, è mancata a mio avviso quantomeno la proporzionalità”, ha dichiarato il legale.

Dentro la scuola – Manifestare le proprie convinzioni politiche, religiose o sociali è un diritto riconosciuto dall’articolo 21 della Costituzione. L’articolo 33, inoltre, sancisce la libertà di istruzione e l’autonomia dei docenti nel definire i metodi didattici: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Come conferma l’avvocato Moizo “è indubitabile che l’insegnante possa manifestare apertamente il proprio pensiero politico ed esporre le proprie idee sul mondo”. Anche a lezione. Ciò che deve evitare è “l’assolutismo ideologico o il proselitismo, inclinazione, la prima, e attività, la seconda, passibili di censura”.

Nel diritto alla manifestazione del pensiero, inoltre, rientra anche il diritto di critica, con alcune indicazioni deontologiche: “La responsabilità disciplinare dell’insegnante risponde agli stessi principi che regolano la responsabilità penale del giornalista, in particolare nei processi in cui viene contestato il reato di diffamazione”. Sia fuori sia dentro la scuola è necessario rispettare tre limiti: “La verità storica del fatto oggetto di critica o almeno la corrispondenza a fatti veri secondo un prudente apprezzamento soggettivo; la continenza formale delle espressioni adoperate; la pertinenza, da intendere come rispondenza della critica ad un interesse meritevole in confronto con il bene suscettibile di lesione”. In altre parole, è necessario essere fedeli al vero, equilibrati e ben intenzionati. Tutti elementi che vanno valutati caso per caso.

Fuori da scuola – Il docente è un cittadino che può liberamente candidarsi alle elezioni politiche o a qualsiasi altra tornata elettorale locale o sovranazionale, con limiti “meno stringenti” e che tuttavia esistono e sono ampliati dal nuovo codice di comportamento. La legge però non prevede alcuna incompatibilità tra la funzione dell’insegnamento e quella di parlamentare, che è anzi regolata espressamente e permette di richiedere l’aspettativa. Inoltre “l’essere candidato a una carica pubblica di per sé ti autorizza a sostenere una campagna elettorale mirata all’ottenimento del consenso”. Prendendo di nuovo come esempio il caso di Raimo, il legale ritiene “che abbia parlato non solo con il proposito legittimo di ottenere consenso alla tornata elettorale, ma anche facendo valere il suo diritto di critica nei confronti dello stato attuale della Scuola italiana, di cui si evidenziano gli aspetti negativi e che si mira a migliorare”. Con una precisazione: “Il terreno della critica politica pungente e ‘violenta’ è molto scivoloso, ma in questo caso, al netto della sanzionabilità della condotta in sé, vi è un evidente difetto di proporzionalità tra condotta e sanzione”.

Sui social – Come a scuola, il docente è libero di manifestare il proprio pensiero anche sui canali social, e anche in casi in cui la sua opinione sia di natura politica o venga “espressa in senso critico”. Tuttavia, anche in questo contesto, il nuovo codice di comportamento prevede un inasprimento delle sanzioni per eventuali usi impropri. L’articolo 11-ter, nello specifico, prescrive al docente di utilizzare ogni cautela affinché le sue opinioni o i suoi giudizi su eventi, cose o persone non siano in alcun modo attribuibili direttamente alla pubblica amministrazione di appartenenza.

Secondo l’analisi del legale, però, “la norma è scritta in maniera eccessivamente aperta e rischia di sostanziarsi in una ‘intromissione legalizzata’ nella sfera personale del lavoratore e nella sua libertà di pensiero”. Sempre in base al codice, inoltre, il dipendente è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale. Secondo Moizo qui però “entra in gioco la discrezionalità e sensibilità dell’amministratore di turno, che potrebbe ritenere l’esercizio del diritto di critica alla Scuola italiana, al Ministero e ai suoi rappresentanti un atto libero o, viceversa, passibile di sanzione”. In definitiva, tenendo presente la discrezionalità della materia e la sua complessità, è determinante comprendere volta per volta quale effettivo danno possano provocare le parole del lavoratore: “Affermare ad esempio che la scuola italiana è in crisi a causa del ministro reca danno alla pubblica amministrazione? A mio avviso no”.