“Bisogna prestare molta attenzione ai bambini che a scuola sono distratti, non di rado annoiati, talvolta troppo vivaci o iperattivi, perché spesso tra queste figure, che solitamente disamorano gli insegnanti o mostrano uno scarso interesse ai loro insegnamenti, si nascondono i ‘plusdotati’. Sono bambini difficili da riconoscere, perché il loro comportamento irrequieto o la loro scarsa attenzione li fa confondere con quanti nella stessa classe non hanno alcuna propensione all’applicazione e allo studio”. Umberto Galimberti opera questo distinguo a settembre 2009 in un Approfondimento per FeltrinelliEditore.it. Me lo sono riletto anche quest’anno, prima che prendessero avvio le lezioni, alle medie, e poi di nuovo oltrepassate le prime settimane. Quando si dovrebbe essere (ri)preso il ritmo, riallacciato il filo tagliato a giugno scorso. Ma anche trovato il bandolo nelle nuove classi.
Mi crea sempre una certa preoccupazione l’idea di non riuscire ad operare il necessario distinguo. Tra un “plusdotato” e “chi non ha alcuna propensione all’applicazione e allo studio”. Mi terrorizza il pensiero di sbagliare. Così prima di sbilanciarmi, osservo e m’informo con i colleghi. Con tutti, naturalmente. Anche se presto particolare attenzione a quanto mi faccio raccontare dall’insegnante di scienze motorie. La palestra è il luogo nel quale in molti si mostrano davvero nella loro naturalezza. Senza filtri.
“Marco, siedi in maniera più composta. Puoi evitare di scrivere sul banco, Virginia? Emanuele e Christian, mi potete spiegare cosa c’è che vi fa così ridere? Sofia! Ti sei addormentata?”. Le mie sollecitazioni, sempre precedute oppure seguite dal fatidico “per cortesia”, si rincorrono nel corso delle lezioni nelle prime. Il numero delle persone disattente per un tempo considerevole non di rado sopravanza quello di chi riesce a mantenersi concentrato. Nonostante faccia ricorso ad una gamma di artifici tutt’altro che trascurabile. Parlando, utilizzo esempi del mondo nel quale sono immersi. Alterno al registro verbale ufficiale, uno più colloquiale, nella speranza che ne colgano le differenze. Modulo il tono della voce, dall’alto al basso e viceversa, perché si destino. Ma è evidente, che non basta.
In ogni prima le raccomandazioni sul comportamento da tenersi mi impegnano molto più che qualsiasi spiegazione riguardante la Storia oppure la Geografia. La Grammatica oppure l’epica. Circostanza alla quale non riesco proprio ad abituarmi e che continua a sorprendermi. Anche se non quanto la incredulità con la quale bambine e bambini rispondono ai miei richiami.
Si stupiscono che ci possa essere un qualche adulto (nella circostanza investito anche del ruolo di insegnante-educatore) che li possa riprendere perché hanno atteggiamenti oppure assumano posture inadeguate ad una classe. E’ così che, verificato che non mi trovo alla presenza di “plusdotati”, ma piuttosto di “chi non ha alcuna propensione all’applicazione e allo studio”, rifletto.
Di anno in anno, di prima in prima, ho sempre più l’impressione che non di rado a mancare siano le regole. Prima la loro definizione. E poi il rispetto che ne dovrebbe conseguire.
Insomma a latitare è la cosiddetta scolarizzazione. Senza la quale non può esistere didattica, a mio parere. Perché se un bambino non ha l’abitudine a stare seduto in classe, è più che evidente non è stato neppure messo nelle condizioni per prestare attenzione a quel che si dice. A quel che dice l’insegnante e, naturalmente, anche i compagni. L’attenzione e la concentrazione si raggiungono anche predisponendosi ad esse. Mettendosi nelle condizioni di farlo.
Confesso che ciò mi dispiace. Mi provoca dispiacere osservare come molte bambine e bambini facciano il loro ingresso alla scuola media senza che gli sia stato fornito in precedenza alcuno strumento per predisporsi al lavoro in classe. E così, è più che evidente, non solo faticano più del dovuto, ma soffrono. Di fronte a situazioni che non hanno quasi mai sperimentato.
Lavorare sul comportamento “prima”, li rende più liberi “dopo”. Realmente liberi.