Il risultato* è un successo netto del campo largo che vince col 57,33% e soprattutto del Pd che raggiunge una percentuale elevata, passando dal 34,69% di Stefano Bonaccini nel 2020 al 41% di Michele De Pascale. Nello stesso tempo si registra un forte calo di votanti, dal 67,67% al 46,42%. Già alle recenti Europee si era manifestato un calo al 59%, in valori assoluti si è passati da 2.373.974 a 1.624.863 votanti, con una diminuzione di 749.111 voti espressi.
Il Pd partito mattatore delle elezioni ha in realtà perso in valori assoluti (comprendendo la lista del presidente): da 874.567 a 675.670, cioè meno 199.000 voti. Anche Alleanza Verdi-Sinistra, che pure ha registrato un lieve incremento in percentuale, ha subito un calo di 46mila voti, pari al meno 39% dei precedenti. I più penalizzati sono i Cinquestelle, che passano da 102.595 a 51.902: meno 50.693 voti e un lieve calo anche in percentuale.
La riduzione di voti riguarda a maggior ragione il raggruppamento di destra: la coalizione di Elena Ugolini candidata presidente raggiunge il 40%, confermando la percentuale delle elezioni del 2020, in voti assoluti passa da 981.787 a 581.659: meno 400.128 voti.
All’interno della coalizione però avviene un vero e proprio terremoto, la Lega che aveva dominato le elezioni precedenti con 728.326 voti pari al 34% precipita a 77.313, il 5,29%, mentre Fratelli d’Italia passa da 185.795, pari all’8,59%, a 343.802, il 23,77%, avendo comunque perso rispetto alle recenti elezioni europee – in cui aveva raccolto ben 555.981 voti, il 28,02% – 212.179 voti e il 4,20%.
In termini politici il centrosinistra (campo largo) si rianima: in Emilia Romagna dopo tre alluvioni si poteva temere che le cose andassero peggio, e invece in questo voto si riflette, indubbiamente, un più che solido consenso al maggior partito di Elly Schlein, pur in una sensibile riduzione dell’elettorato votante.
Nel 2014, alla prima elezione di Bonaccini, votò una percentuale ancora inferiore, il 37%; fu uno scandalo nella regione con i livelli di partecipazione politica storicamente più alti d’Italia, ma allora c’era stato lo scandalo dei rimborsi spese che colpì molte regioni e fu una reazione di indignazione.
Questa volta il malcontento è palpabile e riguarda probabilmente in parte le conseguenze delle alluvioni ma anche un più generale disagio di larghi strati della popolazione, perché le condizioni di qualità della vita, qui in genere sempre alte, stanno progressivamente deteriorandosi, anche la qualità dei servizi, compresa l’eccellente sanità, che risente di tagli e di una spinta troppo disinvolta alla privatizzazione – che poi significa per tanti pagare di più per visite, esami e interventi.
Oggi la parte più debole della società si sente sempre meno sicura, più esposta alla crisi, estranea a una politica che, se pur con differenze e qui non c’è la parte peggiore, non riesce più ad andare incontro a bisogni crescenti. Ma questo è un forte segnale d’allarme prima di tutto per Meloni & C., perché c’è anche l’ancor più pesante sconfitta in Umbria, e solo per pochissimo l’hanno spuntata in Liguria.
La gente comincia a capire che dietro sorrisi e smorfiette, dietro lo scenario di cartapesta neocoloniale dell’Albania e la propaganda compiaciuta delle televisioni, si cominciano a vedere chiaramente le grosse crepe che incombono sul bel Paese.
*l’analisi è compiuta su 4.352 sezioni scrutinate su 4529 alle ore 19.00 del 18/11/24