Il Dipartimento di Giustizia statunitense chiederà una pronuncia che imponga ad Alphabet (Goggle) di vendere il suo browser Chrome. Lo scrive l’agenzia americana Bloomberg che cita fonti a conoscenza dei piani. Il Dipartimento si basa sui rilievi dell’Antitrust secondo cui Google ha monopolizzato illegalmente il mercato delle ricerche on line. Oltre alla cessione di Chrome solleciterà il gruppo ad imporre pure misure correttive su intelligenza artificiale e al suo sistema operativo per smartphone Android.

Chiedere la vendita di Chrome a Google segnerebbe un profondo cambiamento da parte dei regolatori Usa, che hanno in gran parte lasciato in pace i giganti della tecnologia da quando non sono riusciti a smembrare Microsoft due decenni fa. Tuttavia, sul dossier, incombe l’imminente cambio di presidenza. Trump si presenta con un approccio molto più morbido e permissivo su queste pratica e sulla regolamentazione antitrust in generale.

Non a caso le vittoria del 5 novembre è stata accompagnata da un forte rialzo delle quotazioni di Alphabet. Il governo ha la possibilità di decidere se una vendita di Chrome sia davvero necessaria in un secondo momento, soprattutto se Google dovesse implementare altre misure che garantiscano una maggiore competitività del mercato.

Un’eventuale vendita di Chrome potrebbe fruttare fino a 20 miliardi di dollari. Tuttavia, Possedere il browser web più utilizzato al mondo è la chiave per il gigantesco business pubblicitario on line. Google, insieme a Meta (Facebook, Instagram, Whatsapp) controlla una quota delle inserzioni che si avvicina al 90%. Attraverso le ricerche effettuate è possibile profilare con accuratezza gli utilizzatori e tarare in base alle loro caratteristiche i messaggi pubblicitari, con precisione . Google ha anche utilizzato Chrome per indirizzare gli utenti al suo prodotto AI di punta, Gemini, che ha il potenziale per evolversi da un answer-bot a un assistente che segue gli utenti in giro per il web.

Lee-Anne Mulholland, vicepresidente degli affari normativi di Google, ha affermato che il Dipartimento di Giustizia “continua a promuovere un programma radicale che va ben oltre le questioni prettamente legali del caso in esame”. Ha aggiunto che “il governo, intervenendo in questo modo, danneggerebbe i consumatori, gli sviluppatori e la leadership tecnologica americana proprio quando è fondamentale mantenerla”.

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