Non è un lavoro per soli uomini. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 181, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale il decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95, nella parte in cui distinguono secondo il genere, in dotazione organica, i posti da mettere a concorso nella qualifica di ispettore del Corpo di Polizia penitenziaria.
Le disposizioni in esame erano state censurate dal Consiglio di Stato per la violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.) e, in riferimento all’art. 117, primo comma, per il contrasto con il principio di parità di trattamento fra uomo e donna, sancito dal diritto dell’Unione europea.
La Corte costituzionale, in primo luogo, ha dichiarato ammissibili le questioni sollevate in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., per violazione della normativa direttamente applicabile del diritto dell’Unione europea. Nella prospettiva del concorso di rimedi, che esclude ogni preclusione, il giudice può sollevare questione di legittimità costituzionale anche in caso di contrasto con il diritto dell’Unione dotato di efficacia diretta, allorché la questione “presenti ‘un tono costituzionale’, per il nesso con interessi o principi di rilievo costituzionale”. La dichiarazione di illegittimità costituzionale offre un surplus di garanzia al primato del diritto dell’Unione europea e “salvaguarda in modo efficace la certezza del diritto, valore di sicuro rilievo costituzionale”.
La Corte costituzionale ha ricordato che “Il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e le prescrizioni poste dal diritto dell’Unione europea convergono nel rendere effettiva la parità di trattamento, in una prospettiva armonica e complementare, che consente di cogliere appieno l’integrazione tra le garanzie sancite dalle diverse fonti”.
La sentenza ha affermato che “il trattamento differenziato in base al genere nella dotazione organica del ruolo degli ispettori, che si associa alla ‘netta preponderanza della presenza maschile’, non trova una ragionevole giustificazione nelle peculiarità del ruolo degli ispettori e non persegue, dunque, un obiettivo legittimo. Tale ruolo, difatti, non ha nel “diretto e continuativo contatto con i detenuti” una sua “connotazione qualificante e indefettibile”.
La disciplina esaminata con questo verdetto dalla Consulta, non solo non persegue un obiettivo legittimo, “legato all’esigenza di preservare la funzionalità e l’efficienza del Corpo di Polizia penitenziaria”, ma si pone anche in contrasto “con il canone di proporzionalità, proprio per l’ampiezza del divario che genera”. Le discriminazioni nell’accesso al ruolo degli ispettori, pertanto, “vìolano il diritto delle donne di svolgere, a parità di requisiti di idoneità, un’attività conforme alle loro possibilità e alle loro scelte e di concorrere così al progresso della società” e, nel discostarsi da criteri meritocratici di selezione del personale, producono “effetti distorsivi che si ripercuotono sull’efficienza stessa dell’amministrazione”.