“Il biondo” era tornato a casa riprendendo le rediti del mandamento mafioso Ciaculli-Brancaccio. Gaetano Savoca è stato arrestato per l’ennesima volta per mafia, nell’indagine coordinata dalla Dda di Palermo, guidata dal procuratore capo Maurizio de Lucia, dall’aggiunta Marzia Sabella e dalle sostitute Francesca Mazzocco e Francesca Dessì, insieme allo Sco e alla squadra mobile di Palermo. Tornato a Palermo nel 2018, dopo numerosi anni di detenzione, Savoca è accusato di aver ripreso le redini dello storico mandamento mafioso nella zona nord est di Palermo. Si compone dell’unione dei caln di Ciaculli-Croceverde Giardini, Brancaccio, Corso dei Mille e Roccella-Guarnaschelli ed era guidato prima dalla famiglia Greco (Michele Greco, il Papa di Cosa nostra) e poi passato sotto la guida dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano.

Il Boss torna a casa – Savoca è stato tre volte condannato per mafia, nei processi Goldenmarket (1998), Ghiaggio (2006) e Old bridge (2010), riconosciuto come componente organico del mandamento, avendolo anche guidato sotto le direttive del padre Giuseppe Savoca. Nel 2005 è stato autorizzato a trasferirsi a Cesenatico dove continuare a espiare la pena, fino alla scarcerazione avvenuta a maggio 2011, restando sempre nella riviera romagnola come sorvegliato speciale per i successivi quattro anni. A febbraio 2018 decide di rientrare a Palermo, e a maggio gli inquirenti lo pizzicano alla guida di un vespone bianco mentre accompagna Leandro Greco, nipote del “papa” Michele, ad un summit con Calogero Lo Piccolo, figlio di Salvatore, il boss di San Lorenzo. Un incontro in cui si decideranno le sorti e gli equilibri di ciò che resta della vecchia cupola palermitana. La permanenza in Sicilia riporta Savoca ad riaprire storici contatti, come quelli con Michele Micalizzi, boss di Tommaso Natale, Giuseppe Arduino, uomo d’onore di Brancaccio arrestato lo scorso marzo, e persino Mario Carlo Guttadauro, figlio di Giuseppe “u dutturi”, poi arrestato nel 2022 insieme al padre.

“Podestà decisionale” – Dalle dichiarazioni fornite dai collaboratori di giustizia Filippo Bisconti e Francesco Colletti, correlate dai numerosi riscontri della polizia di Palermo, Savoca risulta essere un “podestà decisionale – come si legge nell’ordinanza firmata dal gip Lirio Conti -, oltre che di autorevolezza mafiosa, nella consorteria, e punto di riferimento per la soluzione di dispute e problematiche” interne. Ci si rivolgeva a “u biondo” anche per “esercitare pressioni per ottenere l’assunzione di personale presso le cooperative operanti nel settore delle ferrovie”, e vengono elencati i numerosi incontri a marzo 2022, proprio tra Savoca e un sindacalista. Il suo ruolo di vertice è certificato anche dai componenti delle famiglie mafiose, come risulta dal dialogo captato dagli inquirenti, tra Maurizio Di Fede (famiglia di Roccella) e Sebastiano Caccamo (famiglia di Brancaccio), che si sarebbero dovuti rivolgere a lui per “risolvere problematiche interne all’associazione mafiosa”.

Gens mafiosa dei Ciaculli – Il mandamento dei Ciaculli è associato storicamente alla famiglia dei Greco, a partire Giuseppe Greco, detto “Piddu ‘u tenente” e ai figli Michele Greco, detto “il Papa” e Salvatore detto “il senatore”. Fu proprio il “Papa” durante l’ultima udienza del maxiprocesso, l’11 novembre 1987, ad augurare “la pace”, “la tranquillità e la serenità” alla corte che si stava ritirando per scrivere la storica sentenza. A comporre l’ossatura storica del mandamento furono anche il figlio del “papa”, Giuseppe Greco, Pino Greco detto “scarpuzzedda”, Giovanni Prestifilippo e suoi figli, oltre a Giuseppe Lucchese e al nipote Tommaso Spadaro. Dopo l’arresto di Lucchese nel 1990, le redini del mandamento sono state assunte dai fratelli stragisti Filippo e Giuseppe Graviano. Dopo l’arresto dei due, avvenuto a Milano nel gennaio del 1994, la guida è poi passata a Giuseppe Guttadauro, “il dottore”, parente acquisito dell’ultimo superlatitante, ‘u Siccu’ Matteo Messina Denaro. Prima del ritorno di Savoca, il mandamento è stato retto da Leandro Greco, nipote del “papa” Michele, arrestato nell’operazione antimafia Cupola 2.0” (2018).

L’albergo dei Graviano – Nella lunga ordinanza è citato anche un riferimento all’hotel San Paolo. Il collaboratore di giustizia Andrea Bonaccorso racconta che nel 2008 “Pino Savoca ed altri esponenti mafiosi avevano investito denaro poi confluito negli immobili del costruttore Ienna e che quando fu prospettata la vendita dell’hotel San Paolo, che faceva parte del complesso immobiliare, Pino e il figlio Gaetano erano interessati a riavere una parte dei quanto investito”. L’hotel sarà confiscato al costruttore Gianni Ienna, fondatore di uno dei primi club di Forza Italia e accusato di essere prestanome dei fratelli Graviano. Per non perdere tutti i beni, la mafia pensò di usare un escamotage, che sarà rivelato anni dopo dal collaboratore Gaspare Spatuzza, detto “u tignusu”: “Questo (Ienna, ndr) dava all’epoca 20 milioni al mese, un mese alla famiglia Graviano, un mese ai Tagliavia. Poi l’albergo era stato sequestrato e c’erano problemi per fare uscire questi 20 milioni perché c’era la gestione del curatore, comunque questi soldi uscivano sempre”. Quindi, racconta Spatuzza, Ienna “era stato autorizzato dai Graviano a farsi pentito per salvare il salvabile. Era stato autorizzato e quindi poteva camminare libero a Brancaccio”. “U tignusu” lo aveva saputo direttamente “da Filippo Graviano nel carcere di Tolmezzo”.

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