“Sono più vanitoso che grasso. Stamattina la bilancia diceva 96 chili. Al ristorante non vado più da quando sono stato licenziato con una mail da ilgusto.it. Chi se lo può permettere?”. E’ un Edoardo Raspelli a ruota libera quello che si racconta in un’intervista al Giornale. 76 anni, primo critico gastronomico italiano, figura iconica della televisione e penna tagliente, Raspelli è noto per le sue recensioni spietate e per il volto bonario che i fan riconoscono persino negli Autogrill. Ma dietro la fama si cela una vita vissuta tra passioni e tormenti, successi e profonde ferite, che il giornalista racconta ora con sincerità disarmante.
Nonostante una carriera che lo ha reso un volto familiare della tv con 614 puntate di Melaverde e la lunga esperienza come critico per Il Gusto e la Guida dei Ristoranti dell’Espresso, Raspelli ammette: “Non mi hanno mai pagato molto”. Oggi, vive grazie a due pensioni e un’agenda fitta di eventi, ma non nasconde il peso del verbo “lavorare”: “Devo lavorare, e il verbo dice tutto”.
Raspelli non si schermisce dietro lenti scure: “Gli occhiali da sole tengono le persone a distanza. Io li detesto. Se qualcuno mi chiede una foto, la faccio sempre e ringrazio chi mi riconosce”. Questa semplicità lo rende amato dal pubblico, ma la vanità non è mai stata un ostacolo alla sua onestà professionale. La sua passione per la verità gli è costata caro, come quando nel 1979 ricevette una corona funebre davanti alla porta di casa per una recensione negativa ad un ristorante: “Era il primo maggio. Dovevo organizzare il mio addio al celibato e chiesi a mio fratello Bruno di passare da casa a ritirarmi i giornali. Lui tornò e mi disse c’è una corona di fiori davanti al portone. Ma a parte te, chi si chiama Edoardo nel palazzo?. Non c’era nessun altro, ovviamente. Mi spaventai parecchio. In quegli anni la gente sparava davvero”.
Dietro il sorriso cordiale, si cela però un profondo malessere: “Sono sempre stato un depresso. Fin da ragazzo. Allora il liceo Parini era una caserma. Ebbi un esaurimento nervoso nel ’66 e anche nel ’68 e in entrambi i casi mi ritirai a metà anno. Fu grazie a un prete che passai al Carducci”. Raspelli ricorda poi gli episodi di abusi subiti da bambino e adolescente, eventi che lo lasciarono con un senso di colpa opprimente: “In quinta elementare un compagno di due anni più grande mi portò nei bagni e si fece toccare. Mi spiegò anche come nascevano i bambini. Poi mi ricapitò in seconda media, all’Istituto Villa Palmizi di Bordighera con un altro amico. Però fu lui a toccare me e siccome io provai piacere mi sentii mortalmente in colpa. E accadde una terza volta con un gruppetto di quindicenni come me. Mi tapparono la bocca e furono loro a toccare me anche quella volta. Stesso epilogo, stesso senso di colpa“, riflette. La scoperta della propria sessualità non fu priva di ostacoli, specialmente in un contesto familiare rigido: “Ognuno di noi, compreso me, ha un angolino di omosessualità. Ma mia madre una volta mi disse che mi avrebbe preferito morto piuttosto che omosessuale. Non lo scorderò mai”.
Quindi conclude con una consapevolezza toccante: “Sono ateo, ma quanto preferirei credere in Dio“. E oggi, con più ricordi che progetti, guarda al passato con gratitudine ma anche con una vena di malinconia: “Ho avuto una vita piena, ma certi dolori non svaniscono mai“.