Venerdì e sabato scorsi sono stato ospite di Officina Pasolini di Roma, invitato per seguire la rassegna “Futuro presente”, un festival dedicato alle nuove generazioni artistiche, con un programma molto interessante che va dal 15 novembre al 1° dicembre. In particolare, le due serate che ho seguito sono stati momenti di “restituzione” dei corsi svolti nei due anni precedenti, in cui i cantautori in erba si sono esibiti sul palco, prodotti, guidati e supportati dai docenti. Da Piero Fabrizi a Pietro Cantarelli o Roberto Angelini, fino al direttore della sezione canzone, Niccolò Fabi, sempre presente e meticoloso.
Questi momenti, chiamati “Officina aperta. Il concerto”, sono stati preceduti nel pomeriggio da incontri chiamati “Costruzioni per l’uso”, con artisti giovani ma già abbastanza affermati, che vengono intervistati sulle dinamiche iniziali della propria carriera. Sabato 16 novembre è stata la volta della bravissima Emma Nolde.
Non si parla abbastanza in Italia di Officina Pasolini, hub culturale e laboratorio di alta formazione artistica voluto dalla Regione Lazio, ideato da Tosca e supportato da Massimiliano Smeriglio. Così la stessa Tosca – Direttrice artistica – mi parla di “Futuro presente”: “Sta per finire un altro biennio e ancora una volta da questo posto magico partiranno persone per entrare nel mondo della canzone, del teatro e dell’audiovisivo. La loro esperienza si chiuderà qui con un vero e proprio festival che abbiamo chiamato Futuro Presente, come tutto il futuro di talento e luce che si coltiva con la formazione nel nostro hub e come l’arte che attraversa il tempo e nel presente è già cura e necessità per ogni futuro possibile”.
In una situazione culturale appena decente, la Rai farebbe dei servizi settimanali sullo svolgimento dei corsi di un posto così. Dal palco il 15 e 16 veniva un vento di emozione e didattica che si traduce in personalità propria. L’idea di Niccolò Fabi di dare a ciascuno un set di quindici minuti, invece della classica “canzone a testa”, e di far sì che i ragazzi si accompagnassero vicendevolmente, suonando sul palco le canzoni proprie e quelle degli altri, ha valorizzato lo stile musicale personale e d’autore di ognuno. Altro che le band residenti che danno sempre lo stesso colore alle canzoni o, peggio, basi e sequenze che sono la normalità purtroppo oggi in Italia negli eventi dal vivo più grandi.
Officina Pasolini è una specie di miracolo, quasi un’oasi nel deserto musicale di oggi. E non è affatto scontato che gente come Tosca o Fabi, così come Silvestri nel prossimo biennio, si dedichino a questi progetti di insegnamento e coordinamento di certe realtà. La situazione della musica che passa per radio o televisione in Italia è avvilente: perciò bisogna sporcarsi le mani se si vuole cambiare rotta, e gli artisti affermati hanno un compito cruciale. Chi non lo fa è complice.
Gli eventi serali hanno dimostrato che il lavoro paga, così come la capacità di intercettare il talento: quello di Dario De Angelis, perfettamente a suo agio sul palco mentre declama versi introduttivi oppure cattura il pubblico con un recitativo, prima di far sentire tutta la profonda espressività della sua voce; quello di Giulio Cannavale, chitarrista dall’ottimo tocco, che scrive anche per altri, armonicamente significante e sempre orizzontale pur nella profondità di linguaggio musicale dei brani; o di Nebraska, che caratterizza la propria poetica con contenuti materici, realistici come il suo stile espressivo, e aggredisce parole e concetti, li fa vivere facendoceli quasi toccare, tra riff con note ribattute o controtempi significativi, che con tutta naturalezza dal palco dice una delle frasi più importanti e iconiche della Pasolini: “Ho scoperto che non voglio fare, voglio essere”; o, ancora, di Federico Baldi, tra rock demenziale ed esistenzialismo: nel centro esatto senza mai perdere la credibilità.
Chiudo con Emma Nolde. Mi racconta che deve molto a Locusta, l’agenzia di booking che l’ha notata in un pub di Empoli. Emma è quindi nata grazie al fatto di suonare in giro: in un momento in cui – almeno da dopo il Covid, ma anche prima – i liveclub continuano a chiudere, la cosa fa riflettere. Ha confessato che, dopo l’ascolto di “Una somma di piccole cose” di Niccolò Fabi, ha capito come e perché iniziare a scrivere in italiano. Viene dai primi Coldplay, dai Radiohead. Chitarra e voce, dimostra di avere senso del suono, attenzione al discorso testuale e all’uso delle singole parole. Non usa mai la voce in modo ruffiano ed evoca precisione espressiva.