Hanno suscitato polemiche più che legittime le parole pronunciate dal sottosegretario Andrea Delmastro alla presentazione della nuova auto blindata con cellula detentiva che il Dipartimento della Polizia Penitenziaria ha fatto realizzare per il trasporto dei detenuti per mafia, al regime 41-bis. Giova ricordarle: “Per me è un’intima gioia l’idea di far sapere ai cittadini come incalziamo e non lasciamo respirare chi sta dietro quel vetro oscurato”.
Non v’è dubbio che Delmastro abbia un ottimo pubblico che possa apprezzare l’immagine fosca e bieca che esse evocano e che possa sentirsene rassicurato. Esso si divide tra coloro che, in assenza di stragi o altri fatti di sangue, pensa che il problema della mafia sia attualmente risolto con la cattura dei notissimi boss poi finiti al 41 bis o morti in carcere per malattia e vecchiaia; e coloro che ritengono che non li riguardi proprio, che sia estraneo alle loro vite, ricordando sì quelle tragedie terribili ma oramai con memoria consunta dal passare del tempo e pertanto lontana e dai contorni emotivi sfumati.
Per tutti gli elettori che si ritrovano nelle idee del Sottosegretario i sottotitoli di questo gentil pensiero sono per gli immigrati, per i tossicodipendenti, per i cosiddetti ultimi che vivono in una condizione di drammatica marginalità nella nostra bella società. Sono loro, che vengono immaginati rinchiusi nelle navi militari in viaggio per l’Albania, quelli che non si vuole vedere liberi nel nostro Paese. Quelli che debbono essere così come sono effettivamente rinchiusi nelle carceri e nei Cpr. Tutti quelli che ci inquietano, che non vogliamo vedere per non turbare le nostre coscienze di fronte alle loro condizioni umane di vita.
Non debbono esistere perché ne abbiamo paura. Possono portarci via qualcosa di ‘nostro’ o, peggio, possono costringerci a pensare. E pensare è pericoloso perché crea inquietudine, se non altro perché ci costringe all’idea che, un giorno nemmeno tanto lontano, potremmo anche noi ritrovarci al loro posto. Per quale ragione, infatti, una politica che fonda il suo progetto di sicurezza, pace e benessere sociale sul sacrificio dei diritti umani dei più deboli, non possa fare altrettanto con noi laddove se ne dovesse rappresentare la necessità?
E’ un’interrogativo molto scomodo perché costringe ad una visione più ampia del problema da un lato, e turba le nostre coscienze dall’altro. Allora ‘loro’ debbono tutti stare dietro quel vetro scuro evocato da Delmastro, possibilmente con poca aria. Sono tanti? Comunque troppi. Meglio non vederli, come la polvere che viene spazzata sotto il tappeto.
Le parole terribili del sottosegretario rendono superflua e francamente inopportuna ogni riflessione giuridica. Non la meritano. Citare Costituzione, Convenzione Europea dei Diritti Umani, quella di New York del 1984 significa parlare una lingua diversa, sconosciuta ai più, dimenticata per tanti altri.
Possiamo e dobbiamo, tuttavia, porre una questione a Delmastro che ci consenta di ignorare tutto questo come si vuole fare. Se sono i mafiosi i destinatari dei suoi illuminati – si fa per dire – pensieri, non può egli non sapere, trattandosi di persona indubbiamente altamente qualificata, che sono i reati contro la Pubblica Amministrazione a costituire linfa vitale per la nascita e proliferazione delle organizzazioni mafiose. Perché allora il suo governo, e in particolare il suo ministro Nordio, si impegnano cosi tanto nel depotenziare l’azione di magistratura e forze dell’ordine nella lotta alla mafia, riducendo i perimetri dei comportamenti illeciti degli amministratori pubblici penalmente rilevanti e quindi punibili e limitando gli strumenti investigativi proprio su questi ambiti?
Forse la questione è troppo complessa da essere digerita da una propaganda un pochino più illuminata. Meglio semplificare tutto e così rassicurare. Ma Delmastro sa bene tutto questo e allora da cosa deriva tutta la sua gioia? Mah…