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“Nonno Fabrizio De Andrè scriveva le ricette. Con mio padre Cristiano non ho rapporti, ma gli cucinerei il piatto preferito”: Filippo De Andrè chef ai fornelli

Il figlio d'arte racconta di come si è avvicinato al mondo della ristorazione

di F. Q.
“Nonno Fabrizio De Andrè scriveva le ricette. Con mio padre Cristiano non ho rapporti, ma gli cucinerei il piatto preferito”: Filippo De Andrè chef ai fornelli

Filippo De Andrè è figlio d’arte, ma anni luce lontano dal mondo della musica. La sua creatività si esprime ai fornelli. “La musica è parte della mia vita, così come la pittura, la scultura, la recitazione. In particolare il teatro. La cucina per me è una forma di teatro: mi permette di raccontarmi senza filtri”, ha detto a Il Corriere della Sera.

Poi ha sfogliato l’album di famiglia: “Mio nonno Faber bazzicava spesso tra i fornelli: dava suggerimenti, chiedeva consigli. Scriveva le ricette con meticolosità. Come lui amo la dedizione e la cura per il dettaglio. Papà mi ha sempre raccontato la passione di Fabrizio per i grandi ristoranti francesi. Amava le salse, lui, la bordolese in particolare. Chi entra nella mia vita lascia sempre un segno che io traduco in ricette”.

Mentre il padre Cristiano, con il quale oggi non ha rapporti, lo ha aiutato ad andare avanti sin dal primo momento: “‘Tu devi fare una scuola di alta cucina’, mi disse. Gli proposi l’Alma, mi sostenne in tutto. Quando fui in dirittura di arrivo, mi rese omaggio sui social. Se venisse a cena da me gli preparerei il suo piatto preferito: un filetto alla Rossini”.

Ma la passione per la cucina nasce da lontano: “Ho cominciato a fare il barman a 18 anni quando mia sorella Fabrizia mi regalò un corso di bartender alla Flair Academy di Milano. Mi piaceva combinare gli ingredienti tra loro. Proprio quella sperimentazione mi portò, pian piano, a provare curiosità per la cucina professionale. Mi ci accostai con timore reverenziale: mi intimidiva. Ma più mi intimidiva, più mi convincevo del fatto che quella era la sfida da raccogliere (…) Sono sempre grato a chef Pasquale Pantaleone che mi ha insegnato l’umiltà, l’abnegazione, il coraggio di rialzarmi sempre”.

Filippo si trova bene nel suo ambiente naturale che è la ristorazione: “Ogni cliente è un universo a sé: io trovo affascinante entrare nella psicologia di ciascuno. Chi va a mangiare in un ristorante in genere si aspetta coccole. Cerco di assecondare in maniera informale (…) Alla cucina sofisticata realizzata per dimostrare che io ne so, preferisco piatti semplici, che arrivano al cuore. Piatti in cui l’amore e il sentimento che provo nel realizzarli sono ingredienti tanto nascosti, quanto irrinunciabili. Poi, però, sono aperto alle contaminazioni”.

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