Giustizia & Impunità

“Vendevano informazioni ai servizi russi”: due indagati a Milano, rischiano 15 anni. “C’era un piano per installare videocamere sui taxi”

Sono accusati di aver fornito ai servizi russi “informazioni di natura sensibile”, tra cui “documentazione classificata, fotografie di installazioni militari e informazioni su tecnici specializzati nel campo dei droni e della sicurezza elettronica”, in cambio di un “compenso in criptovalute”. Due soggetti “con base nell’alta Lombardia” hanno ricevuto un avviso di conclusione indagini da parte […]

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Sono accusati di aver fornito ai servizi russi “informazioni di natura sensibile”, tra cui “documentazione classificata, fotografie di installazioni militari e informazioni su tecnici specializzati nel campo dei droni e della sicurezza elettronica”, in cambio di un “compenso in criptovalute”. Due soggetti “con base nell’alta Lombardia” hanno ricevuto un avviso di conclusione indagini da parte della Procura di Milano, che contesta loro il reato di “corruzione del cittadino da parte dello straniero” (articolo 246 del codice penale) aggravato dalle “finalità di terrorismo ed eversione” e punito con una pena massima di 15 anni di reclusione.

“L’indagine, iniziata a partire dall’aprile 2024, scaturisce dagli esiti di una complessa attività investigativa condotta dai carabinieri del Ros (Raggruppamento operazioni speciali, ndr) di Milano, in collaborazione con la Sezione criptovalute del Comando Carabinieri antifalsificazione monetaria di Roma, nella quale sono stati riscontrati l’adescamento, da parte di soggetti russi, e la successiva corrispondenza su un canale Telegram, tra loro e i due indagati”, si legge in un comunicato stampa diffuso dagli inquirenti, coordinati dal procuratore aggiunto Eugenio Fusco. All’indagine ha collaborato anche l’Aise, l’agenzia d’intelligence italiana per l’estero.

Le perquisizioni, aggiunge la nota, “hanno fatto emergere interessi dell’intelligence russa alla mappatura dei sistemi di videosorveglianza delle città di Milano e Roma, mostrando particolare attenzione alle “zone grigie”, ossia a quelle aree cittadine non coperte da telecamere”. Secondo l’accusa, gli indagati “avevano altresì proposto a cooperative di taxi di Milano, un business plan che prevedeva l’installazione a titolo gratuito di dash cam (telecamere per auto, ndr) sulle vetture, nella prospettiva di affidare — all’insaputa dei tassisti — la gestione dei dati ricavabili all’intelligence russa, che avrebbe potuto utilizzarli per molteplici finalità”.