“Quando ho scelto di fare il medico credevo nella ‘missione’. Oggi siamo sottopagati. Ma se in tanti, come me, abbiamo scelto di non andare via dall’Italia, e di manifestare, è perché vogliamo difendere il Servizio sanitario nazionale. Pubblico, universale, gratuito”.

In piazza Santi Apostoli a Roma, per lo sciopero e la manifestazione contro la manovra dei professionisti sanitari, una giovane specializzanda tiene in mano un cartello, con scritto: “Quattro euro l’ora, mai più“. Nell’Italia in cui il governo Meloni nega il salario minimo, proprio gli specializzandi raccontano al meglio come il problema delle retribuzione basse, che pure coinvolge tutti i medici e infermieri, diventa drammatico per chi si trova ancora nella ‘terra di mezzo’, non essendo ancora parte del personale strutturato. Fin dall’inizio in corsia come tuttofare, senza giorni liberi e riposi, per sopperire alle carenze di organico: “Ho fatto un rapido calcolo, nella mia passata esperienza guadagnavo circa 3,5 euro l’ora. Non è accettabile”.

Non è l’unica, di certo: “Siamo sfruttati, con turni estenuanti di almeno dodici ore per sei giorni, quando dovremmo farne 8, per cinque giorni”, c’è chi spiega. “Lo scorso anno lavoravo in un reparto chirurgico del Nord-Est, circa 100-120 ore a settimana. Al netto prendevo 2,30 euro l’ora. Per fare il chirurgo”, allarga le braccia un altro medico specializzando.

Accanto a loro c’è chi, più avanti con l’età, denuncia allo stesso modo il progressivo smantellamento della sanità pubblica: “Siamo stanchi di lavorare senza avere un riconoscimento sociale, politico, economico. Tanti nostri colleghi vanno via, in Germania, Svizzera, Svezia, dove gli stipendi sono tre volte tanto. C’è la possibilità di fare corsi di aggiornamento continui, c’è la prospettiva di un avanzamento di carriera che in Italia, di fatto, non esiste”, spiega una cardiochirurga. Una collega nefrologa condivide: “Avevo la possibilità di restare in Francia, ho scelto di tornare in Italia, per la famiglia, ma anche perché credo che il nostro sistema si possa salvare”.

Certo, servirebbero quei finanziamenti che, al di là di calcolatrici e numeri sbandierati, la legge di bilancio del governo Meloni non mette: “Quattro parole: risorse, riforme, sicurezza e formazione. E se il governo continuerà a non ascoltare le nostre richieste, saremo disposti anche ad azioni più estreme. Anche alle dimissioni di massa”, rilancia Pierino Di Silverio, segretario nazionale di Anaao Assomed.

“Scendiamo in piazza anche noi infermiere perché difendere la nostra professione significa anche difendere la salute dei cittadini”, c’è chi rilancia. Bocciando la soluzione tampone proposta dal ministro Schillaci con l’assunzione dei 10 mila infermieri dall’India: “Serve aumentare gli stipendi. E invece si rischia il dumping salariale, perché lì il guadagno è di circa 500 dollari al mese. E non vorrei che i futuri contratti di lavoro finiscano per adeguarsi a condizioni al ribasso“, attacca pure Guido Quici, presidente CIMO-FESMED.

Di certo, attacca pure il segretario di Azione, Carlo Calenda, in piazza accanto ai medici, “è paradossale formare un medico al costo di una Ferrari, 200mila euro, per poi farlo fuggire all’estero, perché non lo paghiamo in modo opportuno”. Oltre al leader centrista, tutte le opposizioni parlamentari erano presenti, dal Pd, ad Alleanza Verdi Sinistra, fino a M5s e Italia Viva. “Crosetto e Meloni chiedono una deroga al patto di Stabilità per le armi, lo facciano, come noi chiediamo, per assumere invece più medici e infermieri”, attacca Bonelli. Mentre il dem Marco Furfaro ricorda come il sottosegretario di Fdi Marcello Gemmato abbia “quote in società che lavorano nel settore privato e che dicono allegramente ‘il pubblico ha liste di attesa troppo lunghe, venite da me'”. “Si prendano le risorse dalla tassazione degli extraprofitti e dalla lotta all’evasione fiscale“, rivendica la M5s Mariolina Castellone.

“Non è soltanto una questione di stipendi, ma di dignità lavorativa“, rivendicano dalla piazza medici e infermieri. Invitando i “cittadini delusi e che non si curano più, perché non hanno la possibilità di rivolgersi alla medicina privata” a “stare dalla nostra parte”. Perché, c’è chi spiega, “la nostra non è una battaglia per difendere una casta di potere, ma un servizio di cure di qualità

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