Giustizia & Impunità

“Con la stretta alle intercettazioni si rischia la paralisi. Impuniti pure omicidi e rapimenti”: magistrati e giuristi fanno a pezzi la riforma

Le audizioni di Melillo, Santalucia, Fimiani, Gatta e Infante davanti alla commissione Giustizia della Camera. Tutti smontano punto per punto il ddl già approvato al Senato che limita a 45 giorni il tempo massimo per utilizzare gli ascolti telefonici e ambientali

La nuova stretta sulle intercettazioni rischia di creare una “paralisi continua” nel sistema delle indagini. Peggio ancora: l’effetto della nuova normativa porterà a una riduzione del numero delle inchieste. Anche per reati gravi come l’omicidio e il rapimento: “Se sequestri una persona meglio non prendere contatti con la famiglia della vittima per i primi 45 giorni“. Del resto il limite di un mese e mezzo per l’uso delle intercettazioni è incompatibile con quello dei due anni previsto per la conclusione delle indagini. “Sarebbe come dare a uno scienziato due anni per una ricerca, ma vietargli di usare il microscopio dopo i primi 45 giorni”. Magistrati ed esperti stroncano senza appello le modifiche alla disciplina delle operazioni di intercettazione. Il disegno di legge presentato da Pierantonio Zanettin, esponente di Forza Italia, è già stato approvato al Senato ed è approdato alla Camera. Prevede di limitare gli ascolti telefonici e ambientali a una durata totale di 45 giorni, con proroghe possibili solo quando dalle captazioni emergono nuovi elementi. Un limite troppo basso, come hanno ripetuto magistrati e giuristi ascoltati dalla Commissione Giustizia di Montecitorio. Pur con sfumature diverse, hanno tutti fatto a pezzi la riforma.

L’intervento di Melillo: “Si rischia paralisi delle indagini” – “In un’epoca dominata dalla digitalizzazione, disciplinare i tempi delle attività di intercettazioni – che sono ormai quasi sempre telematiche – si risolve in un’incomprensibile compressione delle scelte investigative e in un’irreparabile precipizio della funzione di accertamento dei reati”, ha detto Giovanni Melillo, procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo. “La complessità tecnica è incompatibile con la pretesa legislativa di dimostrare ogni 15 giorni l’acquisizione di elementi specifici e concreti”, ha spiegato il numero uno dell’ufficio di via Giulia, sottolineando come si stia creando un “disallineamento dei tempi massimi delle indagini preliminari e i termini di intercettazione“. Il procuratore nazionale Antimafia ha raccontato come nelle attività d’intercettazione “i primi 20-30 giorni servono per individuare i reati target delle intercettazioni. E quindi il tempo che resta in alcuni casi è davvero poco”. Melillo ha anche sottolineato come con i nuovi tempi potrebbero esserci problemi anche nella traduzione di intercettazioni di indagati stranieri, ma anche sul fronte della “decriptazione di canali, che richiede termini non compatibili, anche con la logica dei 15 giorni di prova”.

La proposta: “Estendere l’area derogatoria” – Per questo motivo il magistrato di via Giulia ha chiesto di ridurre l’ambito di applicazione della norma: il limite, infatti, non si applicherebbe solo per reati relativi alla mafia e al terrorismo. “L’area protetta dall’impatto applicativo della norma è troppo ristretta perché le indagini in materia di mafia e terrorismo si nutrono anche delle indagini su delitti che esorbitano dall’area derogatoria prevista e che sarebbe necessario allargare. La mia proposta è estendere l’area derogatoria almeno a tutti i delitti di cui all’articolo 407 comma 2 lettera A, non senza considerare che i delitti di cui alla lettera B presenterebbero spesso le stesse esigenze. Io credo che l’ampliamento dell’area derogatoria consenta di riconoscere dei margini di ragionevolezza dello sforzo, pure apprezzabile, di estendere la protezione dei diritti individuali. Altrimenti il sistema processuale e delle indagini vivrà contraddizioni e rischi di paralisi continua che non sembra davvero consono, razionalmente e ragionevolmente giustificarsi”.

“Nella deroga delle norme entrino i reati del Codice Rosso” – Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, ha puntato i riflettori sulla differenza di motivazione delle varie proroghe, che possono essere al massimo due all’inizio. “Il disegno di legge vuole evitare che ci siano ascolti improduttivi, ma è una prospettiva fuori asse. Se ho dimostrato che c’è l’assoluta indispensabilità ai fini delle indagini, il fatto che non raccolgo elementi nello spazio temporale della proroga non significa nulla, è irrilevante se permane l’assoluta indispensabilità“. Tra le osservazioni di leader del sindacato delle toghe “un’incompletezza del catalogo per i quali questa normativa non opera. Entrerebbero a buon diritto nella deroga i reati del codice rosso“, ha detto Santalucia. “Il senso della proposta è abbastanza chiaro – ha detto ancora il numero uno dell’Anm – non si vuole che le intercettazioni di proroga in proroga siano mantenute a dispetto della tutela della riservatezza quando non emergano elementi utili. A mio giudizio sembra un intento chiaro ma la formulazione non mi sembra altrettanto perspicua. Con la terza proroga occorre che ci sia una motivazione rafforzata che dovrebbe giustificare l’utilità dell’ascolto, ma il fatto che non emerga nulla non fa venire meno l’assoluta indispensabilità”.

“Impuniti anche i sequestri di persona” – Per Enrico Infante, componente della Giunta dell’Anm, “la perplessità seria di carattere sistemico è nella previsione, per la prima volta, di una durata contingentata dei mezzi di investigazione”. Cosa intende dire il magistrato? “Ci sono tantissimi reati per cui gli elementi di prova sono emersi ben dopo 45 giorni e solo grazie alle intercettazioni”, ha spiegato sottolineando come sia “incredibile” che per “il reato di omicidio non ci sia una proroga“. In questo modo, ha avvertito il componente dell’Anm, si rischia “di lasciare impuniti reati così gravi” e non solo l’omicidio anche “i sequestri di persona“. Quindi ha fatto un esempio particolarmente calzante: “Una norma siffatta significherebbe dire ai criminali esperti: se sequestri una persona non prendere contatti per il riscatto con la famiglia della vittima per i primi 45 giorni , aspetta il 46esimo giorno“. Secondo Infante la previsione è “pericolosissima” e “non solo per i reati da codice rosso” ma anche per altri come “rapine, estorsioni“. E che dire dei cosiddetti cold case, cioè gli omicidi in cui il colpevole viene scoperto dopo molto tempo? “Anche in questi casi sarebbe precluso l’uso delle intercettazioni oltre i termini. Non sarebbe opportuno inserire deroghe anche per reati in materia di malaffare nella pubblica amministrazione e di inquinamento ambientale? A mio parere sì – ha sottolineato il magistrato – perché questi reati si innescano su attività che perdurano nel tempo”. In definitiva, ha spiegato Infante, “bloccare le intercettazioni a 45 giorni significa diminuire la capacità di scoperta di queste gravi forme di illeciti“.

“Le intercettazioni diventeranno un messo di serie B” – Pasquale Fimiani, avvocato generale presso la Corte di Cassazione, ha voluto sottolineare come nell’ordinamento ci siano “materie che già evidenziano delle esigenze di tutela specifica. Poi ci sono una serie di reati su cui abbiamo assunto degli obblighi internazionali e quindi dobbiamo perseguire in modo pieno, senza limitazioni”. Il limite dei 45 giorni è troppo esiguo anche per Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto Penale all’università di Milano e “padre” della riforma di Marta Cartabia. “Se la legge consente di compiere atti di indagine fino a due anni, in ragione della gravità del reato o della complessità delle indagini, sembra irragionevole limitare nell’arco di questi due anni a soli 45 giorni un mezzo di ricerca della prova come quello delle intercettazioni; tanto più che si tratta notoriamente, in presenza di indagini complesse, di uno dei più efficaci mezzi di ricerca della prova”, ha spiegato il professore. “Così facendo, a bene vedere, si finisce inoltre per stabilire un’impropria gerarchia tra i mezzi di ricerca della prova. Le perquisizioni, ad esempio, saranno mezzi di serie a perché possibili nell’arco dell’intero termine di durata delle indagini; le intercettazioni diventeranno un mezzo di serie b, perché utilizzabili solo in un periodo limitato”, ha proseguito Gatta. L’ex consulente del ministero della Giustizia poi ha sintetizzato con un esempio la dinamica messa in campo della riforma: “È come dire a uno scienziato che sta compiendo una complessa ricerca per individuare una possibile e grave malattia: puoi farlo per due anni, ma puoi usare il microscopio solo per un mese e mezzo”.