Altri due killer ergastolani di Cosa nostra hanno ottenuto la semilibertà. Sono Vito Busca e Girolamo Buccafusca, entrambi detenuti nel carcere Pagliarelli di Palermo, hanno ottenuto la possibilità di uscire ogni mattina per attività di volontariato, e tornare in cella la sera, come racconta l’edizione palermitana di Repubblica. Vito Brusca appartiene ad una gens mafiosa […]
Altri due killer ergastolani di Cosa nostra hanno ottenuto la semilibertà. Sono Vito Busca e Girolamo Buccafusca, entrambi detenuti nel carcere Pagliarelli di Palermo, hanno ottenuto la possibilità di uscire ogni mattina per attività di volontariato, e tornare in cella la sera, come racconta l’edizione palermitana di Repubblica.
Vito Brusca appartiene ad una gens mafiosa di primo piano, nato a San Giuseppe Jato, è nipote del padrino Bernardo Brusca, e cugino dei boss pentiti Enzo e Giovanni Brusca, “lo scannacristiani”, il boia della strage di Capaci, l’uomo che fece sequestrare e poi uccidere il piccolo Giuseppe Di Matteo. Mentre Girolamo Buccafusca è stato referente di Porta Nuova, già detenuto al 41 bis. I loro nomi si aggiungo alla lunga lista di “detenuti modello” della mafia, che in questi ultimi mesi hanno ottenuto permessi premio e semilibertà, entrando e uscendo dal carcere, pur non avendo collaborato mai con la giustizia.
I casi recenti – Il primo a beneficiare dei premi è stato Paolo Alfano, legato al capo dei capi Totò Riina e già condannato nel maxiprocesso a 17 anni, oltre all’ergastolo per due omicidi commessi nel 1981. Poi c’è Ignazio Pullarà, per anni uomo del boss Stefano Bontate e in seguito passato con i corleonesi di Riina, ottenendo in cambio il comando di Santa Maria di Gesù. Altro nome è quello dello strangolatore dell’Acquasanta Raffaele Galatolo, fratello di Vincenzo, il reggente della famiglia. All’elenco si aggiunge anche Giovanni Formoso, fedelissimo dei boss stragisti Giuseppe e Filippo Graviano, condannato all’ergastolo per aver imbottito di tritolo l’autobomba che il 27 luglio 1993 provocò cinque morti in via Palestro a Milano.
Scarcerati e poi riarrestato – Nella storia di Cosa nostra ci sono molti casi di uomini d’onore tornati in libertà e poi finiti nuovamente in carcere con gravi accuse di mafia. Totuccio Contorno, affiliato alla famiglia di Santa Maria di Gesù, dopo la sua collaborazione con la giustizia, è stato arrestato per spaccio di droga (1997) e poi per estorsione (2004), accuse che gli sono costate l’espulsione dal programma di protezione testimoni. Altro caso eclatante è quello di Balduccio Di Maggio, detto esponente della famiglia di San Giuseppe Jato. Dopo il suo arresto nel 1993 e il pentimento, contribuisce alla cattura del capo dei capi Totò Riina. È quindi inserito nel programma testimoni, ma torna in Sicilia tra il 1995 e il 1997 per iniziare la sua personale vendetta contro i Brusca. È nuovamente arrestato e condannato a due ergastoli per gli omicidi commessi durante la libertà. “U dutturi” Giuseppe Guttadauro, già reggente del mandamento Brancaccio e parente acquisito del super latitante stragista ‘u Siccu’, Matteo Messina Denaro, è stato condannato a 13 anni e 4 mesi per mafia nel 2012, nell’inchiesta sulle talpe alle Dda di Palermo. Nella stessa indagini finì nei guail’ex governatore Totò Cuffaro, che a sua volta fu condannato a 7 anni per favoreggiamento a Cosa nostra e rivelazione di segreto. Dopo la detenzione, ‘u dutturi’ si è stabilito a Roma, ma nel 2022 è arrestato una seconda volta per mafia insieme al figlio Mario Carlo Guttadauro. L’ultimo caso in ordine cronologico è quello di Rosario Savoca, detto “il Biondo”, condannato tre volte per mafia, dopo la lunga detenzione è rientrato nel 2018 a Palermo. Nei giorni scorsi la Dda guidata da Maurizio de Lucia lo ha arrestato per la quarta volta, accusandolo di aver ripreso in mano le redini del mandamento mafioso Ciaculli-Brancaccio.