“Questa è la Cop finanziaria, siamo venuti per parlare di denaro e aspettiamo i numeri”. La giornata è iniziata in un clima di tensione alla Cop 29 dell’Azerbaigian, dopo la pubblicazione della prima bozza sulla finanza climatica da parte della presidenza, guidata da Mukhtar Babayev, ministro dell’Ambiente e delle Risorse Naturali del Paese ospitante. L’uomo che, probabilmente, ha scelto strategicamente di pubblicare un documento che fosse lo specchio delle discussioni che in questi giorni (per non dire in questi anni) sono andate avanti: la visione della finanza climatica secondo i Paesi poveri, emergenti e in via di sviluppo contro quella dei Paesi ricchi. Nella prima bozza di Babayev non c’è una via di mezzo, anche se il compromesso non può che essere l’unica strada per uscire dall’impasse, come è stato anche per le Cop precedenti. Ed è chiaro che la presidenza sta cercando questo compromesso dietro le quinte. Difficile che, sul quantum, si raggiunga l’obiettivo di 1300 miliardi di dollari all’anno (il famoso trilione di cui si parla da tempo), ma se non ci si allontanerà dalla somma attuale (100 miliardi) o poco più (quei 200-300 di cui si è accennato nei giorni scorsi) la Cop 29 potrebbe fallire sulla doppia linea. Perché l’altro rischio riguarda la mitigazione delle emissioni: un conto è non fare particolari progressi rispetto agli impegni presi lo scorso anno a Dubai, un altro è il dietrofront sulla ‘transizione via dai combustibili fossili’.
La prima bozza sulla finanza climatica – La prima bozza di documento finale della presidenza della Cop sull’obiettivo di finanza climatica (Ncqg, New Collective Quantified Goal) è stata pubblicata alle 7.45, ora locale di Baku (alle 4.45 in Italia) sul sito dell’Unfccc (l’agenzia dell’Onu per il clima che organizza la conferenza). L’ultima versione era di 25 pagine, questa è di 10, ma ci sono ancora molte domande senza risposte. I lavori tecnici sono terminati, spetta quindi ai ministri e alla presidenza della Cop trovare una soluzione. Il documento non fissa ancora la cifra dei finanziamenti ai paesi vulnerabili e propone ancora due opzioni sui criteri da seguire, una che rispecchia la posizione dei paesi in via di sviluppo (Gruppo dei 77 più Cina) e di quelli emergenti e una quella dei paesi sviluppati. Restano i dubbi su quali siano le risorse che concretamente andranno all’adattamento e alle perdite e i danni.
Finanza climatica, la visione dei Paesi in via di sviluppo – Nella prima opzione si prevede di stabilire un New Collective Quantified Goal on climate finance “di almeno [X] trilioni di dollari all’anno, dal 2025 al 2035”. Resta la parola trilioni, ossia migliaia di miliardi, ma non c’è un vero e proprio quantum (oggi quel quantum è 100 miliardi all’anno). Questi soldi dovrebbero essere “forniti e mobilitati dai Paesi sviluppati a tutti i Paesi in via di sviluppo e per rispondere alle loro esigenze in evoluzione, in sovvenzioni a fondo perduto o in termini equivalenti…”. Si sottolinea che le risorse vanno erogate sotto forma di sovvenzioni o equivalenti, e non di prestiti che finiscono per fare indebitare ancora di più i Paesi poveri. Pur includendo la finanza privata, la prima opzione prevede vengano specificate le cifre di denaro pubblico e quelle di finanza privata mobilitata grazie al denaro pubblico. Ma chi paga? Non si allarga la base dei donatori: si invitano i Paesi in via di sviluppo che possono “a fornire tale sostegno volontariamente” come già previsto dall’Accordo di Parigi. Ma il loro sostegno volontario non dovrebbe essere contabilizzato, sempre secondo l’opzione uno, nel New Collective Quantified Goal. Ergo: il quantum dovrebbe essere raggiunto con i soli soldi dei Paesi già sviluppati tra i quali, secondo la Convenzione Unfccc, non ci sono Cina, India, paesi petroliferi e diversi paesi emergenti. Di fatto, la Cina tuttora versa aiuti ai paesi vulnerabili per conto suo, ma non è tenuta a contribuire al fondo dell’Accordo di Parigi, perché ancora considerata paese in via di sviluppo.
La Finanza climatica secondo i Paesi ricchi: lontani dal trilione e, comunque, con più donatori – Nella seconda opzione, invece, l’obiettivo di arrivare a trilioni di dollari (anche qui non c’è una cifra) viene svuotato: i Paesi sviluppati vogliono che possa essere raggiunto entro il 2035, dando quindi più tempo a tutti i paesi contributori e che comprenda “tutte le fonti di finanziamento”. Quindi fonti pubbliche, private, canali bilaterali e multilaterali, comprese le risorse domestiche. Si fa anche riferimento a una base di 100 miliardi di euro, quella prevista dall’Accordo di Parigi, da incrementare (nei giorni scorsi si è parlato di cifre tra i 200 e i 300 miliardi di dollari all’anno). Il testo non chiede esplicitamente che anche i paesi emergenti come la Cina diventino donatori, ma scrive che “l’investimento in crescita a questo livello richiederà ambizione, partnership e cooperazione fra tutti gli attori del panorama finanziario e politico”. L’idea è quella che siano i Paesi ricchi a guidare la finanza pubblica, ma che nello sforzo siano inclusi “altri Paesi con la capacità economica”. Insomma, un’opzione ben lontana dalle richieste dei Paesi poveri, che con questo obiettivo chiedono una esplicita ammissione di responsabilità nelle emissioni storiche da parte del Nord del mondo.
Le reazioni in plenaria e il nodo dei combustibili fossili – Di fatto il testo ha raccolto molte critiche alla plenaria che si è svolta in mattinata. Con il Gruppo G77 che ha ribadito: “Non possiamo lasciare Baku senza un quantum chiaro, è necessario un obiettivo di mobilitazione di ‘almeno’ 500 miliardi di dollari”. “Siamo profondamente delusi dal testo sulla mitigazione, che non offre alcun progresso” ha commentato Jennifer Morgan, inviata per il clima per la Germania. Bocciatura anche da parte di Woepke Hoekstra, commissario Ue per il clima: “Il testo che abbiamo ora davanti a noi, a nostro avviso, è sbilanciato, inattuabile e inaccettabile”. Anche il commissario europeo ha parlato dei passi indietro sulla mitigazione, rispetto alle intese raggiunte l’anno scorso a Dubai. Non ci sono riferimenti alla triplicazione delle rinnovabili, al raddoppio dell’efficienza energetica e alla ‘transition away dai combustibili fossili’, ossia i tre impegni principali presi a Dubai. Tutti nodi che dovrebbero essere sciolti in un testo ad hoc. Non è ancora chiaro, tra l’altro, se ci sarà il classico testo finale, la cosiddetta ‘Cover decision’. I testi negoziali, infatti, sono diversi e complessi e per questo al termine di una Cop le Parti scrivono generalmente un testo ‘di copertina’ nel quale emergono le decisioni più importanti e significative. “Lo scorso anno non c’è stato – ricorda il think tank Ecco – poiché il Global Stocktake di fatto, vista la sua ampiezza, ha preso il suo posto”. Quest’anno potrebbe accadere la stessa cosa con il testo sull’obiettivo finanziario”. Il rischio? “Parlare solo di finanza e non di mitigazione”. Di fatto, anche nel testo ad hoc, non ci sono ancora espliciti riferimenti all’abbandono delle fonti fossili e, nel corso di tutta la Cop, sono molti i Paesi che hanno lavorato per fare passi indietro rispetto a Dubai.
La delusione delle ong e la strada politica – Lo denunciano da giorni le ong. Per Mauro Albrizio, responsabile dell’ufficio europeo di Legambiente “il testo uscito questa mattina sembra un bluff”, con “l’opzione 2 a nostro avviso non considerabile” ha detto, incontrando il ministro dell’Ambiente italiano, Gilberto Pichetto Fratin con altre ong presenti alla Cop29. “A noi il risultato del G20 non è piaciuto. Anzi, non si può uscire dai fossili con i fossili, e l’Ue dovrebbe dire parole chiare su questo” ha commentato Maria Grazia Midulla, responsabile clima ed energia del Wwf Italia. “Siamo venuti qui per parlare di denaro” ha commentato Mohamed Adow, fondatore e direttore di Power Shift Africa, mentre cresce la preoccupazione per il crescente spostamento verso gli investimenti privati rispetto alla finanza pubblica. Per Catherine Pettengell, direttrice esecutiva di Climate Action Network UK “l’opzione due non riflette lo spirito o le responsabilità dell’Accordo di Parigi, includerla è un insulto ed è semplicemente una raccolta di tutte le cose peggiori che i paesi sviluppati hanno suggerito durante questo processo”. Dopo la delusione, la speranza. Il presidente della Cop29 ha convocato i ministri dei Paesi presenti a Baku. Lo ha chiamato qurultay, l’incontro tradizionale di capi tribù turchi in cui vengono prese decisioni collettive di alto livello. Quella di prendere decisioni cruciali dopo riunioni organizzate su modelli presi dalle tradizioni del paese ospitante è ormai quasi un’abitudine delle Cop. Lo scorso anno ci fu il majlis degli Emirati Arabi Uniti e quest’anno tutti sperano nel buon esito del qurultay. E in un compromesso che non sia un bluff.