Le toghe italiane, quelle che si ostinano ad applicare la Costituzione e soprattutto l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, sono sotto un pesantissimo attacco della politica. In particolare, si trovano sotto il fuoco incrociato di un governo e di una maggioranza che non tollerano il controllo di legalità e la possibilità di essere giudicati. Hanno paura di essere presi con le mani nel piatto.

Siamo in una tangentopoli mai finita che è solo mutata geneticamente nel modo di delinquere dei suoi protagonisti. Oggi siamo alla criminalità istituzionale, alla mimetizzazione del sistema criminale nelle istituzioni. Un tempo l’attacco della classe politica era diretto soprattutto contro i pubblici ministeri, definiti toghe rosse per antonomasia. Ora si sferrano campagne violente mediatiche, politiche ed istituzionali anche contro i giudici, finanche quelli che svolgono funzioni civilistiche.

L’affondo contro i giudici che si occupano di immigrazione è sintomatico. Siamo al tiro al bersaglio, ogni decisione sgradita va colpita, all’intimidazione personale, ci troviamo di fronte all’affondo finale contro la separazione dei poteri, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, l’obbligatorietà dell’azione penale. Siamo al tentativo del dominio del potere dell’esecutivo su tutti gli altri poteri. Un sogno di Berlusconi, delle destre, ma anche di Renzi, di molta parte del Pd (bicamerale dalemiana docet).

La politica vorrebbe una magistratura prona al potere politico e ai diktat dell’esecutivo e che possa essere il braccio togato della repressione giudiziaria contro gli sgraditi del potere. Si avanza a colpi di tacco di stivali e mani sugli attenti verso la giustizia di classe propria di uno stato di polizia: la legalità del potere e dell’ordine costituito della colpa d’autore contro fragili, poveri, lavoratori, dissenzienti, immigrati, rom, palestinesi, oppressi e l’ingiustizia invece del potere che garantisce l’impunità del potere stesso.

Il potere non si può giudicare, si autoassolve. Si costruiscono campagne mediatico-politiche per indurre l’opinione pubblica a credere che i magistrati sono i nemici del popolo italiano andando a minare così anche il principio costituzionale che prevede che la giustizia è amministrata in nome del popolo italiano. In realtà si vuole impedire alla magistratura di controllare il potere, di cercare la verità sulle stragi e i delitti mafiosi e di stato, di investigare sul fiume di denaro pubblico che attraversa l’Italia. Il potere vuole mani libere per meglio mettere le mani in pasta.

Di questi tempi bui sotto il profilo dell’etica pubblica è quanto mai necessaria l’azione di una magistratura autonoma, autorevole e credibile. Ed allora non è più sopportabile però la perdita di credibilità di un pezzo della magistratura che ha tradito negli anni i valori costituzionali mettendo a rischio lo stato di diritto e l’autorevolezza di un così importante potere dello Stato.

Senza il tradimento di pezzi della magistratura che hanno colluso con il potere anche politico non staremmo oggi in questa situazione. Ed anche chi vi scrive, senza le pugnalate istituzionalmente e professionalmente mortali di pezzi significativi e potenti della magistratura in collusione con la politica e la borghesia mafiosa, oggi si troverebbe in prima linea in una Procura d’Italia a difendere lo stato di diritto e la costituzione e a ricercare sempre, nel rispetto della legge, verità e giustizia. Sono fatti e ferite terribili per l’indipendenza ed autonomia della magistratura.

Se la magistratura non riconosce i propri errori gravi e inescusabili e non produce una onesta autocritica sarà sempre più difficile difenderla.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti

GIUSTIZIALISTI

di Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita 12€ Acquista
Articolo Precedente

Omicidio Vassallo, il verbale esclusivo: “Ucciso perché era entrato troppo nei fatti nostri, aveva scoperto un furto ai suoi danni”

next
Articolo Successivo

Con l’isolamento in carcere cresce il rischio di tortura. L’inchiesta di Trapani lo mostra

next