Alla fine è arrivato quello che aspettavano da tempo milioni e milioni di venezuelani e venezuelane che vivono dentro e fuori dal Venezuela. Stiamo parlando del tanto atteso riconoscimento ufficiale di Edmundo González Urrutia come presidente eletto negli ultimi comizi elettorali del 28 luglio da parte degli Stati Uniti d’America. Evento che si è prodotto il 19 novembre per bocca del segretario di Stato Antony Blinken: “Il popolo venezuelano si è espresso con forza il 28 luglio e ha nominato presidente eletto Edmundo González. La democrazia esige il rispetto della volontà degli elettori”, ha affermato Blinken attraverso i suoi social media.
Un riconoscimento che si evince dall’utilizzo (è la prima volta da quando si sono svolte le elezioni) del termine “presidente eletto” per riferirsi a González Urrutia, che in questo momento si trova in Spagna, dove gli è stato concesso asilo politico. La risposta di Urrutia non si è fatta attendere e anche lui, attraverso il suo account X, ha dichiarato: “Apprezziamo profondamente il riconoscimento della volontà sovrana di tutti i venezuelani. Questo gesto onora il desiderio di cambiamento del nostro popolo e l’impresa civica che insieme abbiamo realizzato il 28 luglio”.
Un gesto, quello dell’amministrazione Biden, che prova ad accelerare i tempi in vista della data fatidica del prossimo 10 gennaio, nella quale, secondo quanto stabilito dalla Costituzione venezuelana, dovrà giurare fedeltà alla Repubblica il nuovo presidente eletto del Paese sudamericano.
Alle parole di Blinken hanno fatto eco quelle di Giorgia Meloni che, in un intervento realizzato il 20 novembre dalla Casa Rosada a Buenos Aires, ha confermato di non riconoscere la vittoria elettorale proclamata da Nicolás Maduro a seguito di elezioni ben poco trasparenti, sottolineando inoltre che l’Italia continua “a condannare la brutale repressione che ha portato alla morte di decine di manifestanti, all’arresto arbitrario di migliaia di oppositori politici e all’incriminazione e all’esilio del candidato presidente dell’opposizione democratica”. Meloni, ospite di Javier Milei in Argentina (un Milei scontratosi già più volte con Maduro nei pochi mesi della sua presidenza), ha parlato di Edmundo González Urrutia come “presidente eletto”, specificando che “insieme all’Unione Europea l’Italia lavora per una transizione democratica e pacifica in Venezuela affinché la preferenza espressa dal popolo venezuelano per il presidente eletto González Urrutia e le legittime aspirazioni alla libertà e alla democrazia diventino finalmente realtà”.
Anche qui sono giunti i ringraziamenti del rifugiato Urrutia via X, un Urrutia che ribadisce la sua volontà di tornare in Venezuela per poter giurare il 10 gennaio prossimo come nuovo presidente. L’opposizione però non offre altri dettagli su questo eventuale viaggio, per il rischio che il governo venezuelano ostacoli il suo arrivo e provi ad arrestarlo.
Nel frattempo, però, non sono mancate le reazioni anche da parte del regime di Nicolás Maduro, che in questo caso ha parlato attraverso il suo cancelliere Yvan Gil. Riferendosi agli Usa, Gil ha ricordato dal suo canale di Telegram il fallimento dell’investitura di Juan Guaidó come presidente, tacciando Blinken di nemico dichiarato del Venezuela e sottolineando che González Urrutia (chiamato da Gil come Guaidó 2.0) sia sostenuto da fascisti e terroristi subordinati alla martoriata politica statunitense. Parole ancora più dure sono state però riservate dal Cancelliere venezuelano a Meloni e Milei. “Spettacolo per fascisti e nazisti a Buenos Aires: Meloni e Milei si incontrano per attaccare il Venezuela e fantasticare ancora su un regime lacchè nel nostro Paese in stile Mussolini e Hitler” scrive sempre su Telegram il capo degli esteri del Venezuela.
Un messaggio che poi fa riferimento allo storico legame che l’Italia ha con il Venezuela e di come questo riconoscimento italiano a González Urrutia sia “vergognoso”, parole che “feriscono e trafiggono un rapporto storico tra il popolo italiano e quello venezuelano”. Un Paese, il Venezuela – continua Gil – dove abbiamo accolto con grande amore centinaia di migliaia di migranti italiani che fuggivano dall’orrore dell’estrema destra, la stessa che oggi prova a rinascere in Europa e America Latina. La dichiarazione di Ivan Gil si chiude con un messaggio di amore “infinito al popolo italiano e argentino”, un popolo che “lotta per impedire il ritorno delle epoche di terrore fascista che li minaccia ancora oggi”.
Insomma, da parte del regime venezuelano una retorica già conosciuta, che fa capo ad un manuale già utilizzato in altre occasioni e richiama epoche buie del passato per nascondere sotto il tappeto di Miraflores gli orrori del presente, denunciati dall’Onu, dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani, da Amnesty International etc.
Se Edmundo González Urrutia, sostenuto da María Corina Machado (che ancora resiste in Venezuela nascondendosi dalla polizia del regime che la cerca disperatamente), riuscirà a giurare sulla Costituzione nella terra di Simón Bolívar il 10 gennaio prossimo, è tutto ancora da vedere. Nel frattempo Maduro si arrocca, muove i pezzi della scacchiera, inveisce contro chi gli chiede di mostrare gli atti elettorali, tacciando di ingerenza anche vecchi alleati delle sinistre latinoamericane. Nomi come Lula e Petro che si trovano nella scomoda posizione di non poter più difendere l’indifendibile, dentro un contesto regionale di usura lacerante di quello che è stato, ad un certo punto, un sogno di una sinistra progressista, democratica, inclusiva e moderna.