Mercoledì 20 novembre l’esercito ucraino ha lanciato 12 missili Storm Shadow in territorio russo. Gli Storm Shadow sono di produzione britannica, forniti da Londra come parte dell’ampio pacchetto di supporto militare a Kiev, e sono stati utilizzati per colpire obiettivi russi nella Crimea occupata da Mosca fin dal 2023.

Ma il loro utilizzo contro obiettivi russi era una linea rossa che, finora, Londra si era ben guardata dal superare. Lo scorso settembre il primo ministro Keir Starmer e il responsabile degli Esteri David Lammy erano volati a Washington per incontrare sia l’allora candidato alla Presidenza Donald Trump che il presidente Joe Biden. Uno dei temi di discussione con quest’ultimo sarebbe stata proprio la richiesta di autorizzazione all’uso dei missili a lunga gittata. Che Biden, in quel momento, aveva negato. La sconfitta alle elezioni e l’intervento a fianco di Mosca di truppe nordcoreane hanno però fatto cambiare idea a Biden, che ha dato semaforo verde sia agli Storm Shadow che agli ATACMS di tecnologia americana.

Mosca ha reagito modificando le regole di ingaggio nucleare e ieri, dopo aver avvertito gli Usa, ha lanciato un missile balistico senza testata nucleare, a scopo dimostrativo. Ma ha chiarito di stare considerando un ampio raggio di ritorsioni sui Paesi che accusa di aver attaccato il suolo russo.

Da notare che la decisione del governo britannico non è stata sottoposta a dibattito parlamentare, benché esponga il paese a rischi di escalation militare. L’unico a sollevare la questione è stato Jeremy Corbyn, che per questo è stato subissato di critiche. A una richiesta specifica del Fatto quotidiano, il centro studi di Westminster ha risposto che “per l’uso dello Storm Shadow, il governo non necessita dell’approvazione del Parlamento. Il dispiegamento militare è prerogativa dell’esecutivo, e il governo non è obbligato a rivolgersi al Parlamento né per il dispiegamento iniziale delle forze né per la conduzione delle operazioni”.

Un’analisi di Jack Watling, dell’autorevole think tank RUSI, pubblicato poco prima del lancio, accenna a quale forma potrebbe prendere questa ritorsione: “La questione del rischio di escalation aleggia costantemente in questa discussione. In modo poco utile, si è bloccata in un dibattito su se l’impiego di tali armi potrebbe portare a una risposta nucleare, cosa che sicuramente non avverrà. La realtà è che la Russia può intensificare il conflitto in vari modi per imporre costi all’Occidente, dal sabotaggio sottomarino all’uso di proxy per ostacolare il commercio nello stretto di Bab el-Mandeb. [davanti alle coste dello Yemen controllate dagli Houthi]. Il fatto che la Russia abbia cercato di contrabbandare bombe su aerei in Europa, sponsorizzato l’assassinio di industriali europei e coinvolto truppe nordcoreane in una guerra su suolo europeo dimostra che l’escalation è già in atto. E proietterà una lunga ombra”.

Questo articolo del quotidiano The Hill, molto informato sulla Casa Bianca, aiuta invece a comprendere e ragioni del “rischio calcolato” scelto da Washington e Londra prima dell’insediamento di Trump, che prevedibilmente vorrà concludere la guerra con negoziati sfavorevoli alla posizione di Zelensky: “L’amministrazione Biden sta assumendo un rischio calcolato nella decisione di consentire attacchi missilistici a lungo raggio all’interno della Russia. In sostanza, stanno valutando l’utilità di questi missili nel mettere Kyiv in una posizione negoziale più forte con il Cremlino, rispetto al potenziale danno per beni statunitensi o della Nato, qualora Mosca rispettasse la sua minaccia di reagire nel caso in cui tali missili venissero utilizzati”

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